Antigua vince il diritto alla pirateria. Parola del Wto
Oggi vi racconto di una stranissima decisione del Wto (l’Organizzazione mondiale del Commercio, che ha lo scopo di supervisionare gli accordi commerciali tra i suoi 150 stati membri – praticamente quasi tutta la Terra): Antigua, la nazione caraibica, ha vinto il diritto di violare le protezioni di copyright imposte dagli Stati Uniti su film, software e musica. Un riconoscimento che vale più di 21 milioni di Dollari.
La storia è più o meno questa: Washington, secondo il Wto, è colpevole di aver impedito ai consumatori americani di poter utilizzare i servizi di gambling online (quindi casino, scommesse, etc) con base nell’isola, permettendo però allo stesso tempo agli statunitensi di scommettere sui cavalli e sui siti americani. Antigua e Barbuda, così, sentendosi danneggiati hanno chiesto 3,44 miliardi di Dollari di danni: basti pensare che l’industria delle scommesse online è la seconda più grande, dopo il turismo, dell’isola. Fin qui una disputa tra due paesi.
In realtà, però, il Wto ha messo in atto una regola fino ad ora poco utilizzata: dando ragione ad Antigua e non sapendo come sanzionare gli Stati Uniti, permetterà ad Antigua di sospendere i suoi obblighi (dettati dall’appartenenza al Wto) nei confronti degli Stati Uniti. Questo significa che Antigua potrà liberamente violare copyright, marchi registrati e altre forme di proprietà intellettuale. Una bella vittoria di Davide contro Golia, insomma, e sicuramente una decisione molto più punitiva, per gli Usa, di una semplice multa.
Il problema, ora, è che questa legge può diventare un precedente al quale appellarsi per tutti quei paesi che si sentono vittime del protezionismo statunitense. Una decisione che potrebbe creare moltissimi problemi soprattutto all’industria della musica, del software e del cinema (perché i cd sono sicuramente uno dei supporti più semplici da “clonare”, e soprattutto perché questi stati lo farebbero senza violare alcuna legge). La questione, ovviamente, è spinosa e molto probabilmente non finira qui: staremo a vedere.
Via | The New York Times