Condannato a 9 anni di prigione il super-spammatore mondiale
La notizia sta facendo, piano piano, il giro del mondo. La Corte Suprema della Virginia, negli Stati Uniti, a ha condannato a nove anni di carcere Jeremy Jaynes, accusato di aver mandato milioni di messaggi di posta indesiderata ad altrettanti ignari utenti internet. Una sentenza che, sicuramente, entrerà nella storia della Rete.
La vicenda, tra ricorsi e carte bollate, va avanti già dal 2003, anno del primo arresto di Jaynes. L’accusa ha presentato la prova di 53mila messaggi e-mail illegali inviati in soli tre giorni, ma tra luglio e agosto del 2003 pare che l’uomo abbia mandato un milione di messaggi spam al giorno. La difesa, invece, ha basato le sue argomentazioni sul fatto che le leggi anti-spam emanate ultimamente negli Stati Uniti violerebbero i diritti del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, quando si tratta di anonimato.
La corte, però, ha rigettato quest’ipotesi, considerato che l’uomo utilizzava degli indirizzi e-mail fasulli e, quindi, era impossibile da contattare per chiedergli una cancellazione del proprio indirizzo dal suo database; inoltre, i prodotti pubblicizzati fanno decadere i diritti del primo emendamento sulla libertà di espressione. Il processo si è tenuto in Virginia, proprio perché lì risiedono alcuni server di posta di Aol attraverso i quali sono passati questi messaggi. Il “Computer Crimes Act” della Virgnia proibisce “la trasmissione anonima di posta indesiderata o pubblicitaria, incluso quella contenente messaggi politici e religiosi”.
Secondo molti commentatori si tratta, però, di una decisione molto dura, soprattutto perché la legge esiste solo in alcuni stati degli Usa (come a dire, se vivi fuori dagli Usa puoi spammare liberamente). A mio giudizio, non so cosa ne pensate voi, forse nove anni di carcere sono un po’ eccessivi, ma se i tribunali di tutto il mondo cominciassero a prendere provvedimenti severi contro gli spammer, allora ci libereremmo molto presto di questa brutta piaga che colpisce, indistintamente, le nostre caselle e-mail.
Via | Ars Technica