Decreto Romani: censura sì, censura no, se famo du’ spaghi?

Le dirette streaming sono uguali alle dirette televisive, pertanto devono sottostare alle stesse regole, anche se chi le allestisce non è ancora entrato nell’età della pubertà o guadagna in vent’anni ciò che un editore televisivo guadagna durante il solo spot dei Pavesini. E i canali YouTube, che tutti noi possiamo aprire e gestire liberamente? Ovviamente, sono tante emittenti televisive. Devono rispettare le stesse leggi di Rai Uno, Canale 5 e La7 e, se infrangono i diritti d’autore, vanno oscurati immediatamente!
Ecco riassunto in cinque righe l’ultimo scempio videocratico rigurgitato dai nostri governanti, quello che viene ormai riconosciuto universalmente come decreto Romani (dal nome del viceministro alle Comunicazioni, quello che negli ultimi mesi è andato decantando le mirabilie del digitale terrestre in ogni dove) e che, qualora entrasse in vigore, demolirebbe molte delle linee di confine che attualmente separano la “nostra” Rete da quella di Pechino.
La stupidità (più che follia) intrinseca in questo decreto è stata riconosciuta addirittura dall’AGCOM. Il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò, ha infatti espresso il suo parere a riguardo dichiarando che: «quello del decreto Romani sarebbe un filtro generalizzato su internet, da una parte restrittivo come nessun paese occidentale ha mai accettato di fare, dall’altra inefficace, perché burocratico a priori».
Pronta è arrivata la risposta di Romani, il quale ha assicurato che “non c’è nessuna volontà di censurare Internet” e che “l’autorizzazione generale ai siti web può mancare senza i requisiti amministrativi”. Peccato, però, che il viceministro continui a sostenere che il suo decreto recepisce la direttiva Ue in materia di TV e Web 2007/65/CE quando sa che non è affatto così. Anzi, la sua mirabile creazione potrebbe addirittura portare il nostro Paese a duri confronti con Bruxelles.
Dal canto suo, Antonio Di Pietro approfitta della ghiotta occasione per rilanciare l’ipotesi del complotto berlusconiano contro Internet e SKY a favore di Mediaset. Sarà, ma secondo noi gli ideatori di questo decreto hanno degli orizzonti così limitati che non saprebbero organizzare nemmeno una partita di calcetto. Figuriamoci un complotto.
In ogni caso, la situazione è brutta. Brutta al punto tale che non possiamo non sottolineare la profonda differenza che corre tra la considerazione che si ha di Internet in Italia e in altri Paesi del mondo, come gli States.
Oltreoceano, il Presidente del Paese più importante del mondo utilizza YouTube per lanciare messaggi alla nazione e fornire risposte ai cittadini. Il nostro Presidente, invece, considera YouTube come una TV pirata che ruba i video sexy delle maggiorate che partecipano al Grande Fratello e li riproduce senza permesso. Che amarezza.
[Photo Credits | gee su Flickr]