Microsoft e la questione dell’interoperabilità: la sentenza è stata confermata
Al centro della questione, in corso oramai da diversi anni a questa parte, vi sono i tassi di non remunerazione non ragionevoli facenti riferimento all’accesso alle informazioni relative all’interoperabilità dei prodotti compatibili e ad essere condannata, in tal senso, è Microsoft.
Il Tribunale UE, proprio nel corso delle ultime ore, ha infatti confermato la decisione della Commissione europea con cui Microsoft era stata condannata a pagare una multa per non aver permesso ai suoi concorrenti di avere accesso, a condizioni ragionevoli, alle informazioni relative all’interoperabilità.
Il caso aveva avuto inizio nel 2004, quando la Commissione, su iniziativa del Commissario per la concorrenza guidata, all’epoca, da Mario Monti, contestò l’abuso di posizione dominante da parte di Microsoft e inflisse alla società un’ammenda da circa 500 milioni di euro.
Poi, nel 2006, la Commissione inflisse una nuova mula a Microsoft poiché, secondo Bruxelles, la redmondiana non aveva fornito una versione precisa e completa delle informazioni facenti riferimento all’interoperabilità entro il termine fisato dalla decisione precedentemente presa chiedendo inoltre ai concorrenti un prezzo ingiusto per poter accedere ai dati.
Una nuova sanzione venne poi decisa nel 2008 sempre per il medesimo motivo.
La questione viene ora chiusa con una conferma della sentenza ma anche con quello che potrebbe essere definito come un piccolo “sconto”.
La sanzione, infatti, è stata ridotta di 39 milioni di euro passato da 899 milioni di euro iniziali agli attuali 860 tenendo conto della lettera inviata dalla Commissione a Microsoft a giugno 2005 secondo cui la redmondiana poteva limitare la distribuzione dei prodotti sviluppati dai suoi concorrenti “open source” in base alle informazioni relative all’interoperabilità non coperte da brevetto e non innovative.
La decisione, in ogni caso, sembra non essere stata cosa gradita a Microsoft.
La redmondiana, comunque, potrà ora rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ma al momento non è ancora chiaro se all’intera vicenda seguirà un ricorso in appello.