DNS Changer: il punto della situazione

Da diverse ore a questa parte l’FBI ha ufficializzato lo spegnimento dei server che per qualche tempo hanno sostenuto il traffico dell’utenza infetta da DNS Changer, il malware, oramai abbastanza noto, che, così come suggerisce lo stesso nome, modifica i server DNS dei computer infetti dirottando la connessione verso siti web malevoli.

La maggior parte degli utenti vittime di DNS Changer ha provveduto a difendersi accuratamente dal malware mediante appositi test online e ricorrendo all’impiego di un antivirus aggironato, molti altri, però, a quanto pare, hanno fatto davvero ben poco per cercare di porre rimedio alla situazione in questione.

Lo spegnimento dei server, infatti, ha costituito per tutte le vittime residue l’inizio del black-out.

Conseguenzialmente alla dismissione dei server, infatti, la funzione DNS è stata interrotta ed ora il browser web risulta praticamente incapace di risolvere le url digitate dagli utenti trasformandole in relativi indirizzi IP e rendendo quindi impossibile la navigazione online.

Stando a quelli che sono gli ultimi dati diffusi dal DNSChanger Working Group sarebbero ben 250 mila gli utenti residui vittime del malware.


Gli italiani ancora legati ai server dell’FBI nel giorno dello spegnimento erano invece 17074, una cifra questa che ha permesso all’Italia di occupare la seconda posizione nella classifica dei paesi maggiormente infettati da DNS Changer.

In prima posizione, invece, troneggiano gli Stati Uniti anche se rispetto al Bel paese il rapporto navigatori/infezioni risulta sbilanciato considerando il fatto che in Italia il grado di penetrazione di DNS Changer risulta il più alto al mondo.

In ogni caso i DNS gestiti sino a poche ore addietro dall’FBI saranno tenuti sotto controllo in modo tale da evitare che eventuali malintenzionati possano impossessarsene mettendo in atto nuove ed eventuali truffe nei confronti degli utenti ancora vittime del malware.

In generale, comunque, il numero totale di vittime del malware è diminuito di circa il 50% nel giro di 8 mesi grazie alla diffusione di informazioni in merito e grazie anche alle soluzioni precedentemente proposte mediante cui identificare e risolvere il problema.

Ora, però, sarà necessario riportare online tutti gli utenti vittime del black-out.

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