Dalla china cinese alle cartucce per stampanti: inchiostro, tu si che vali!
Quella della stampa è una storia millenaria, eppure velocissima e inarrestabile. Si sono avvicendate grandi scoperte tecnologiche, ma una costante si è trascinata nel corso dei secoli: il prezioso valore dell’inchiostro. Dalla china cinese alla contemporanea “guerra” delle cartucce, il tempo sembra essersi fermato.
Soltanto dal 2010 al 2015 il giro d’affari a livello mondiale della stampa digitale è passato da 32 a 67 miliardi di dollari. Entro il 2020 si prevede supererà quota 100 miliardi. La tecnologia che più di tutte ha reso possibile questa escalation è stata la stampa a getto di inchiostro. Oggi possiamo acquistare queste stampanti a prezzi accessibili, o scegliere soluzioni di noleggio vantaggiose; è il costo dell’inchiostro – un litro arriva a 50 euro – che fa lievitare i costi per l’utilizzatore finale. I grandi produttori preferiscono vendere l’hardware a prezzi di fabbrica e guadagnare sui materiali di consumo acquistati più frequentemente. L’inchiostro e le cartucce, appunto.
Nel corso dei secoli, l’inchiostro è sempre stato un supporto prezioso. Ha origini antichissime: in principio – parliamo di 4 mila anni fa – era una specie di brodo primordiale, fatto con cenere e acqua. Gli amanuensi medievali iniziarono a prepararlo con diverse misture. Due ebbero un discreto successo: l’estratto di campeggio e l’estratto di carbone vegetale. Altre “ricette” prevedevano anche l’uso di fuliggine, acqua, vino, aceto, gomma arabica e, in seguito, noci di galla e solfato ferroso, che permisero di stampare su carta in modo indelebile e più resistente all’umidità. Nelle abbazie i monaci amanuensi sperimentavano composti di ogni genere per ottenere risultati sempre migliori, ovviamente mantenendo il segreto su dosi e ingredienti. Per i manoscritti più lussuosi e pregiati gli alchimisti non badavano a spese e usavano inchiostri con oro e argento.
Il migliore degli inchiostri era considerato quello cinese, realizzato con grasso di bue, pesci, corna, carbone, resine di abete e olio di sesamo, il tutto polverizzato col mortaio e mescolato a mano dagli eunuchi imperiali. La preparazione laboriosa e il costo del trasporto in Occidente resero però la china una materia poco poco abbordabile e quindi poco utilizzata, nonostante fosse di gran lunga superiore agli inchiostri usati in Europa.
Perché, a secoli di distanza, l’inchiostro continua a essere tanto prezioso e costoso?
Oggi molte case vendono stampanti a prezzo di fabbrica. Una cartuccia di inchiostro arriva a costare come uno qualsiasi dei più diffusi modelli di stampanti, se non di più.
La moderne cartucce per stampanti non sono semplici “contenitori” di inchiostro, come si potrebbe erroneamente pensare, ma piccoli gioielli di tecnologia che, nelle stampanti ink-jet, contengono l’elemento più importante del processo: la testina di stampa.
La testina, però, si può rigenerare – anche con ottimi risultati, se la cartuccia è appena esaurita. Il costo delle cartucce per stampanti va quindi ricondotto principalmente all’inchiostro; non solo alla materia prima in quanto tale, ma anche agli investimenti in ricerca e sviluppo, necessari per sperimentare e dar vita a inchiostri sempre meno inquinanti.
Ovviamente, in un’economia di scala, questi costi – per quanto elevati – diventano irrilevanti per le grandi case produttrici. Il costo di produzione di una cartuccia non supera i 2 euro, eppure il consumatore finale arriva a pagarla in negozio fino a dieci volte tanto. Così, stampare una pagina con una cartuccia originale è quattro volte più costoso che fare una fotocopia.
Al consumatore rimane un’alternativa: le cartucce per stampanti compatibili o rigenerate, che costano meno della metà di quelle originali e garantiscono la stessa qualità di stampa. La sentenza con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto il tentativo di una nota casa produttrice di boicottare le cartucce rigenerate ha fatto giurisprudenza, offrendo ai consumatori un’opportunità di scelta in più.