Google: possiamo sapere tutto di tutti. Ma va?

Se il darsi la zappa sui piedi fosse uno sport olimpico, Eric Schmidt avrebbe già vinto una bella medaglia d’oro. A pochi giorni dalla querelle relativa alla privacy violata in Google Buzz, il CEO di Google è infatti intervenuto al Mobile World Congress 2010 di Barcellona (una delle manifestazioni più importanti nel mondo della telefonia mobile) sparando una frase di quelle che non si scordano facilmente: «se lo volessimo, potremmo conoscere letteralmente tutto di tutti».

Certo, direte voi, nulla di nuovo sotto il sole. Sappiamo tutti che “big G” ci osserva continuamente e ci conosce meglio dei nostri amici, ma sentire le ammissioni di un “reo confesso” fa sempre un certo effetto. Ciò detto, forse adesso è meglio andare a contestualizzare il discorso e vedere dov’è che il buon Schmidt è “incespicato”.

L’argomento trattato dal guru di Mountain View nel suo keynote è stato, inevitabilmente, quello del micro-blogging in tutte le sue sfaccettature (quello che permette di fare Google Buzz, detto in parole povere). Secondo il CEO di Google, questi social network sono “così intrusivi che, se lo volessimo, potremmo conoscere letteralmente tutto di tutti. Cosa stanno facendo le persone in un determinato momento, i loro interessi e molto altro ancora”.


Tutte queste informazioni – ha chiosato Schmidt – sono costantemente monitorate e, se le persone ce lo permettono, noi possiamo sapere letteralmente tutto di loro”. Un po’ come dire se scrivi in Rete che sei in vacanza ai Caraibi, non ti lamentare se ti trovi la casa svaligiata.

Il ragionamento, occorre ammetterlo, non fa una piega. Ma bisogna considerare il fatto che i servizi di micro-blogging non sono la fonte di tutti i problemi di privacy di questo mondo, così come Facebook, Twitter e Buzz sono solo uno dei tanti serbatoi di dati dai quali il colosso di Mountain View può attingere informazioni delicate.

Insomma, Google conosce i nostri gusti, le nostre abitudini (grazie alle ricerche che compiamo), i nostri amici (grazie a chat e webmail), il nostro lavoro (se utilizziamo Docs) e gli appuntamenti che abbiamo ogni giorno dell’anno (grazie a Google Calendar) anche se noi decidiamo di non iscriverci ad alcun social network. Inutile cercare di addossare tutte le colpe agli ultimi arrivati.

Attenzione però. Inutile è anche addossare tutte le colpe a “big G”. Schmidt e soci hanno sì costruito un impero senza confini, hanno sì in mano un mucchio di informazioni sensibili, ma non hanno mai obbligato nessuno a usare i loro servizi.

Tutto quello che servirebbe, insomma, è un po’ di trasparenza in più da parte di Google e, soprattutto, un pizzico di sale in più nella zucca dell’utente medio. Quale sia più fattibile tra la prima e la seconda lo lasciamo giudicare a voi… e a Google, tanto lo sappiamo che siete qui!

[Via | ComputerWorld] [Photo Credits | stevegarfield su Flickr]