La morte di Steve Jobs vista da un utente PC

Di santi in paradiso ce ne sono già tanti, Steve Jobs non sarà uno di loro. Lui era un genio; un genio dalla creatività sconfinata e dalla grande “fame”; e come tale va ricordato se non gli si vuole far torto. Le santificazioni che da ventiquattr’ore a questa parte riempiono, in maniera spesso maldestra, le pagine dei giornali, così come i pixel dei blog, sono l’ultima cosa che il ribelle di Cupertino avrebbe voluto vedere.

Steve Jobs era uno di quelli che si fanno e poi si getta via lo stampo per almeno una decina di lustri. Nel bene e nel male. Era un genio visionario, sì, ma anche un pignolo, un tipo irascibile e un narcisista. Ma ciò che conta più di tutto è che lui, il papà di un impero che ora vale 350 miliardi di dollari, era un tenace, un affamato, uno che andava contro tutto e tutti pur di raggiungere i suoi scopi.


È questa la vera essenza di Jobs, quello che gli ha permesso di sprofondare e rinascere, di partire da un garage per poi tornarci, andar nuovamente via e trasformare quelle quattro mura di scarso valore in un cubo trasparente che è diventato l’edificio più fotografato di New York dopo l’Empire State Building. Steve Jobs è morto una volta sola ma di vite ne ha vissute almeno tre o quattro.

Quella che ricordano– o fanno finta di ricordare – tutti è l’ultima, quella dei capelli bianchi, di iPod, iPhone, iPad e del tocco magico, quello che consentiva ad Apple di sfornare qualsiasi tipo di gingillo tecnologico; talvolta originale solo perché reso più bello e semplificato rispetto ad altri prodotti già editi che non avevano incontrato il favore del pubblico; e di venderlo a milioni di persone in tutto il mondo, malgrado il costo quasi doppio rispetto alla concorrenza.

Questa era la Apple di Jobs, una fabbrica di sogni diventata quasi religione. Una religione che ora ha perso il suo Messia, l’ispiratore di uno stile divenuto inconfondibile, vincente e “cool” anche a dispetto di alcuni passi falsi – dalle perquisizioni per ritrovare il prototipo di iPhone smarrito ai suicidi nelle fabbriche cinesi, senza dimenticare il recente blocco dei prodotti Samsung – che ad altre aziende non sarebbero stati mai perdonati. Ora che ne sarà di tutto ciò?

È difficile dirlo. Anzi, cosa succederà nei prossimi mesi, forse nei prossimi anni, è abbastanza prevedibile: così come le rockstar spentesi precocemente vendono milioni di dischi facendo arricchire le case discografiche, così i fan di Jobs doneranno nuova linfa vitale ad Apple continuando a comprare come, e più di prima, i suoi device. Ma per quanto durerà? Per quanto tempo gli utenti ricorderanno il tocco magico di Steve e accetteranno di comprare a scatola chiusa ogni nuovo prodotto della mela morsicata?

Assodato che l’iPhone 4S (già ribattezzato for Steve da molti) gioverà dell’onda emotiva causata dalla morte di Jobs e venderà almeno quanto i suoi illustri predecessori, dopo come si comporterà il nuovo CEO dell’azienda, quel Tim Cook che non ha saputo tirare fuori i fuochi d’artificio durante il suo primo keynote?

Forse c’è ancora qualche progetto nato dal “tocco magico” nei cassetti degli uffici di Cupertino, ma poi? Apple andrà avanti pensando a “cosa avrebbe fatto Steve” oppure prenderà coscienza della dipartita del suo leader e riscoprirà il suo spirito “folle e affamato” per voltare pagina?

È questo il nodo da districare, la sfida su cui si giocheranno i futuri equilibri del mondo informatico. Un mondo in cui non ci sarà più Steve Jobs, colui grazie al quale adesso siamo seduti di fronte a un computer, possiamo telefonare e navigare ovunque su Internet interagendo con un semplice pannello di vetro e acquistiamo musica online. Giusto per dirne qualcuna. Anche ne nascessero altri dieci di “affamati” come lui, ci mancherà.

Photo Credits | Nick Webb