Apple, il suo “giardino recintato” non è sempre un male?
Quando si parla di Apple è inevitabile pensare al suo “giardino recintato”, a quell’ambiente costituito da regole ferree, controlli rigidissimi e politiche restrittive in cui Steve Jobs ha ben pensato di relegare tutti gli utenti della mela. Spesso a discapito della loro libertà.
Eppure di rivolte non ce ne sono state, i sempre più numerosi acquirenti dei prodotti Apple sono contenti dei loro gingilli tecnologici e non c’è nulla che suggerisca l’abbandono di questa politica da parte dell’azienda di Cupertino. Allora vuoi vedere che non tutti i mali vengono per nuocere e che il tanto criticato “giardino recintato” ha anche i suoi lati positivi? Per qualcuno, sì.
Provate a leggere quest’articolo di TUAW o questi commenti sul forum AppleInsider. Sono tutti entusiasti del “walled garden” e della sua funzione di diga nei confronti delle applicazioni maligne nell’App Store.
A far salire il borsino dei pro-giardino, quanto accaduto alla conferenza Black Hat sulla sicurezza della scorsa settimana, dove il team di Lookout ha annunciato che sull’Android Market è stata distribuita un’applicazione malevola, travestita da semplice collezione di sfondi per il cellulare, che ha rubato i dati di svariati milioni di utenti e li ha inviati su un server cinese.
Un fallimento delle politiche troppo aperte perpetrate da Google, dicono i fan di Apple. Che forse non hanno tutti i torti, vista la differenza di trattamento che hanno le applicazioni inviate sull’App Store di Apple e la vetrina digitale di Google: le prime vengono sottoposte a controlli (fin troppo) stressanti e assoggettate al volere della Casa Madre, le seconde vengono viste, etichettate con un messaggio di avvertimento relativo ai permessi durante l’installazione e via.
E i 400 account iTunes violati dallo sviluppatore vietnamita Thuat Nguyen per far salire nelle graduatorie dell’App Store le sue applicazioni e trarne un forte vantaggio economico? Per alcuni, come i nostri cugini di The Apple Lounge, il “giardino recintato” non c’entra; per altri, come l’arcinoto Paolo Attivissimo, sì. La verità, come quasi sempre, molto probabilmente sta nel mezzo: il recinto è efficace ma non infallibile.
A questo punto, il dibattito è aperto. In nome della sicurezza, è giusto rinunciare alla propria sacrosanta libertà di utente, lasciando alla multinazionale di turno il diritto di scegliere quali applicazioni possiamo usare e quali no? Libertà e sicurezza sono due concetti davvero così distanti?
A voi i commenti sull’amletica questione.
AGGIORNAMENTO (02/08): Come riportato dal sito Macapper e segnalato dall’amico Alex nei commenti, la pericolosità dell’applicazione ruba-dati per Android è stata, in parte, ridimensionata. Quest’ultima avrebbe infatti accesso all’ID dell’utente, al numero di telefono di quest’ultimo e poco altro, non a password o altri dati sensibili. La questione sulla sicurezza e il controllo delle applicazioni rimane comunque aperta.
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