MIT, un algoritmo elimina i riflessi nelle foto scattate da un vetro

Quando viene scattata una foto attraverso una finestra o una vetrata solitamente ci si ritrova a dover fare i conti con un fastidioso riflesso. Per far fronte alla cosa oggigiorno è possibile sfruttare appositi accessori studiati per ridurre il più possibile il disturbo che vengono applicati all’obiettivo della fotocamera utilizzata. Tuttavia l’impiego di tali accessori non sempre risulta pratico ed immediato. Grazie ad un nuovo algoritmo messo a punto dal MIT (Massachusetts Institute of Technology) un giorno sarà però possibile eliminare i riflessi in fase di post-produzione.

Tratasi di un algoritmo di machine learning attraverso il quale è stato insegnato ad un computer a riconoscere quali elementi fanno parte del riflesso e quali invece rappresentano il soggetto inquadrato.

Allo stato attuale delle cose la tecnologia funziona solo con vetrate dallo spessore notevole o con doppi vetri poiché per distinguere le due immagini viene identificato il riflesso generato su entrambi i lati della superficie trasparente.

Per comprendere meglio il funzionamento dell’algoritmo è sufficiente dare uno sguardo alla seguente immagine.

Nel riquadro più grande a sinistra è possibile osservare la fotografia di un edificio immortalato attraverso una finestra con il riflesso del dispositivo e di chi lo utilizza ben visibile. A destra lo scatto viene scomposto in due file differenti: nel primo in alto è visibile la facciata della struttura mentre quello in basso somiglia più ad un selfie realizzato allo specchio in cui è possibile avvistare il fotografo e la sua macchina fotografica Canon.

I primi test, condotti su un totale di 197 fotografie prelevate da Google e Flickr, hanno restituito risultati convincenti in circa la metà dei casi, per la precisione 96. Chiaramente si tratta di una tecnologia ancora migliorabile e perfettibile ma che comunque già dimostra le proprie potenzialità e che potrebbe dare i suoi buoni frutti qualora integrata come filtro o plug-in in Photoshop, GIMP, Lightroom o negli altri software solitamente impiegati per l’editing.

[Photo Credits | Korionov / Shutterstock.com]

Via | MIT News