Siamo costretti a parlare ancora di Web tax, per fortuna con un risvolto positivo, o parzialmente positivo, questa volta.
Come molti di voi ben ricorderanno, la legge promossa dal Presidente della commissione bilancio della Camera, Francesco Boccia, che imponeva alle aziende italiane di acquistare pubblicità e link sponsorizzati solo da soggetti titolari di Partita IVA italiana, era stata prima approvata e poi rimandata a luglio.
Web tax
La Web Tax rinviata a luglio
Dopo la recente approvazione da parte del Senato, la Web tax sarebbe dovuta entrare in vigore entro il mese di gennaio ma i programmi sono già cambiati. Ieri, infatti, il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto decreto “milleproroghe” all’interno del quale è stato inserito uno slittamento per l’entrata in vigore della norma.
Alla luce di questi cambiamenti, la Web tax sarà attiva da luglio e non più dall’inizio del 2014, come previsto inizialmente. Nella sostanza nulla cambia – il provvedimento rimane discutibile e controproducente sotto molteplici punti di vista – ma almeno gli operatori del settore avranno più tempo per adattarsi alla nuova normativa.
La Web tax approvata dal Senato
Giusto in tempo per le festività natalizie, il Senato ha dato il suo OK alla Legge di stabilità e, con essa, è stata approvata anche la tanto discussa Web tax. Per chi non avesse avuto modo di approfondire l’argomento, la cosiddetta Web tax (anche conosciuta come “Google tax” e “Spot tax”) è un emendamento promosso, fra gli altri, dal presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia (Pd) secondo cui “i soggetti passivi che intendano acquistare servizi di pubblicità e link sponsorizzati online anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistateli da soggetti titolari da una partita IVA italiana”.
La norma, inizialmente prevedeva l’obbligo di P. IVA anche per le società di ecommerce ma i borbottii del segretario Pd Renzi sulla questione – ahinoi più delle puntuali critiche dei lavoratori e delle aziende che operano nel settore – hanno spinto gli autori della Web tax a rendere meno duro il proprio pugno.
Web Tax modificata nella notte: via l’obbligo di P. IVA per l’ecommerce, resta per la pubblicità
Dopo le polemiche dei giorni scorsi e la presa di posizione di Matteo Renzi, nuovo segretario del Partito Democratico che si è detto pubblicamente contrario alla Web Tax, l’emendamento sulla tassazione “forzata” delle tech companies è stato riformulato e “ammorbidito” in alcuni punti. Ma la bocciatura auspicata dal sindaco di Firenze e – soprattutto – da molti operatori del settore non è arrivata.
Web tax approvata dalla commissione Bilancio della Camera: chi vuole far scappare Google?
“Pagare le tasse è una cosa bellissima”, disse qualche anno fa un Ministro dell’economia ora scomparso. Sarà, ma qui nessuno ha voglia di pagare le tasse: né noi comuni mortali né le grosse aziende multinazionali, che però, a differenza nostra, possono attuare degli stratagemmi grazie ai quali rimanere nella legalità pur pagando cifre irrisorie rispetto ai loro utili da capogiro.
Le tech companies, Google, Apple, Microsoft, ecc. non sono estranee a questi comportamenti “allegri” sotto il punto di vista fiscale. Anzi, con i loro doppi irish e col celebre panino olandese – attraverso cui vengono creati dei fruttuosi intrecci fra le sedi di Irlanda, Olanda e i paradisi fiscali, per ridurre le tasse al minimo – si sono attirate le attenzioni dei governi europei. Anche quello italiano, per sfortuna nostra e loro.