Google Cina stop funzione anti-censura

Cina, Google ha interrotto la funzione anti-censura

Google Cina stop funzione anti-censura Il fatto che la Cina non sia un paese in cui la libertà d’espressione regna sovrana e che i cittadini siano costretti a vivere in un regine in cui spesso le libertà fondamentali degli stessi vengono calpestate per il controllo totale dell’opinione pubblica e, di conseguenza, anche di internet è cosa ben risaputa.

A tal proposito la scorsa primavera gli sviluppatori di Google avevano attivato delle funzionalità pensate appositamente per contrastare la censura del regime cinese sul web consistenti in un sistema di segnalazioni mediante cui informare l’utente dell’eventualità che una propria ricerca avrebbe determinato l’interruzione della connessione ad internet.

La censura cinese, infatti, prevede un blocco della connessione ad internet della durata di 90 secondi ogni volta che viene impiegata una keyword malvista dal regime durante la navigazione online.

Wikileaks, nuove rivelazioni sul caso Google-Cina


Mentre continuano a rincorrersi le voci sul destino del suo fondatore, Julian Assange (che è ancora ricercato da mezzo mondo), il redivivo Wikileaks ha pubblicato nuove interessanti indiscrezioni sul caso Google-Cina.

Un nuovo cablogramma “trafugato” dall’ambasciata americana a Pechino confermerebbe la responsabilità del governo cinese dietro gli attacchi hacker a Google dell’anno scorso, affidando un ruolo centrale nella loro ideazione a Li Changchun, sessantaseienne propagandista del regime di Hu Jintao che si sarebbe detto scandalizzato dagli articoli critici verso di lui rintracciati tramite Google.cn.

Wikileaks: governo cinese dietro attacchi hacker a Google

Oltre a sputtanare i leader politici di mezzo mondo, i rapporti segreti pubblicati ieri da Wikileaks hanno messo in luce le opinioni delle autorità americane sugli attacchi hacker ricevuti da Google in Cina.

Secondo quanto riportato dal sito di Julian Assange, alcuni contatti dell’ambasciata americana a Pechino avrebbero affermato che “L’hackeraggio di Google è stato parte di una campagna per il sabotaggio dei computer organizzata da funzionari, esperti di sicurezza e criminali informatici reclutati dal governo cinese”.

Con queste parole si confermerebbe, dunque, la responsabilità del regime di Hu Jintao nelle intrusioni che hanno preso di mira non solo gli account Gmail di alcuni dissidenti, ma anche i sistemi informatici di diverse aziende americane, il Dalai Lama e molti alleati degli USA. Sin dal 2002, pare.

Google lascia la Cina, o quasi

Le indiscrezioni trapelate la settimana scorsa si sono rivelate veritiere. Ieri Google ha mosso il primo vero passo verso l’abbandono della Cina, ma attenzione a pensare che il colosso di Mountain View abbia staccato la spina al suo motore di ricerca “.cn” e abbia girato i tacchi in quattro e quattr’otto, perché non è così.

Provando a visitare Google.cn, da ieri si viene reindirizzati su Google.com.hk. Questo vuol dire che “big G” ha deciso di dirottare i suoi utenti cinesi verso il suo motore di ricerca di Hong Kong, che è libero dai filtri e censure. Inoltre, Google ha precisato che “continuerà a svolgere attività di ricerca e sviluppo in Cina e manterrà il suo ufficio commerciale in loco”.

Google ci ripensa ancora, al 99.9% via dalla Cina

Proprio come volevasi dimostrare, la telenovela relativa allo scontro tra Google e Governo cinese è tutt’altro che finita. E così, dopo che la situazione sembrava essersi stabilizzata, ecco ripiombare il gelo tra le due parti con il colosso di Mountain View nuovamente pronto a chiudere la versione cinese del suo motore di ricerca.

A comunicare la notizia è l’autorevolissimo Financial Times, secondo cui Sergey Brin e soci non avrebbero digerito le ultime minacce provenienti dalle autorità di Pechino (se non applicherete le censure su Google.cn, ne pagherete le conseguenze) e sarebbero pronti al 99.9% a chiudere la versione cinese di Google.

Google ci ripensa, resta in Cina e riapplica la censura

I tanti cinesi che, in segno di protesta, avevano deposto dei fiori davanti agli uffici di Google possono tirare un sospiro di sollievo. I rapporti tra il colosso di Mountain View e il governo di Pechino stanno per tornare idilliaci come un tempo. Tutto all’insegna della censura, ovviamente.

Il clamore delle scorse settimane, l’incidente diplomatico sfiorato tra USA e Cina, tutto finito sotto il tappeto. È brutto da dire, ma i sogni di libertà di miliardi di persone sono destinati ad infrangersi contro un patetico disclaimer visualizzato sulle pagine di Google.cn (According to local laws, regulations and policies, some search results are not shown) e contro la solita montagna di bigliettoni verdi in ballo.

Queste le dichiarazioni di Sergey Brin, uno dei fondatori di ‘big G’, sull’argomento: «Siamo stati in grado di censurare sempre meno ed ora avvertiamo gli utenti quando le leggi locali ci impediscono di fornire loro l’accesso a determinate informazioni». E non è finita qui.

Bill Gates: “in Cina non c’è tanta censura, e Berlusconi è tirchio”


È un Bill Gates straripante quello che oggi imperversa sulle pagine dei giornali e sui siti Web di tutto il mondo, che dice la sua sulla questione cinese e torna a bacchettare il governo italiano per il poco aiuto offerto ai Paesi poveri.

L’ex CEO di Microsoft, intervistato dal programma della ABC “Good Morning America”, ha dichiarato che se si vuole restare in Cina bisogna seguire le regole di quel Paese: «Occorre decidersi: bisogna rispettare le leggi vigenti nei Paesi in cui si lavora o no? Chi decide per il no – ha continuato Gates – probabilmente non deve far business in quei luoghi».

Entrando nel merito delle censure, poi, il vecchio zio ha lasciato tutti di sasso: «La censura cinese di Internet è limitata e facilmente scavalcabile. Proprio per questo – ha concluso l’arguto Bill – credo sia importante mantenere florido il mercato della Rete da quelle parti».

Google, adesso la Cina vuole oscurarlo e creare una Internet tutta sua

Come facilmente immaginabile, quello che è nato come uno scontro fra Google e regime cinese si è presto trasformato in braccio di ferro diplomatico fra Stati Uniti e Cina.

A seguito del recente discorso del Segretario di Stato USA Hillary Clinton, che non ha esitato ad annunciare “conseguenze e condanna internazionale” nei confronti di “Paesi o individui che mettono in atto attacchi informatici”, e dell’inserimento della Cina nella lista dei “Paesi canaglia” del Web, Pechino ha deciso di abbandonare l’approccio diplomatico e di passare alle maniere forti: se la censura di regime non verrà rispettata, Google verrà oscurato in Cina.

La provocazione nei confronti degli States e del suo colosso tecnologico è poi proseguita attraverso le parole di alcuni mediatori: «se gli Stati Uniti non forniranno le prove che gli attacchi denunciati sono stati orditi dal governo di Pechino, la Cina comincerà a progettare un Internet totalmente cinese, che ricalchi i confini nazionali reali».

Microsoft: turata la falla del “bug cinese” in IE, confermata una vulnerabilità storica di Windows

Voi, che state redigendo una tesi di laurea sulla fenomenologia dell’ascella pezzata; voi, che state scrivendo un’e-mail di scherno ai vostri amici juventini; e voi, che state ammirando le ultime prodezze di Rocco Siffredi sul computer dell’ufficio, fermatevi. Installate subito l’aggiornamento KB978207 per Internet Explorer e riavviate il computer.

Microsoft ha finalmente rilasciato il rattoppo che tutto il mondo stava aspettando, quello per la falla che ha causato il tanto discusso scontro fra Google e Pechino. La patch, che integra anche altre sette correzioni per il browser programmate da tempo, riguarda tutte le versioni di IE, dalla 6 alla 8, e le versioni di Windows dal 2000 al 7.

Ma i problemi di sicurezza in quel di Redmond non finiscono qua. Incredibile ma vero, Windows ha una falla di sicurezza aperta da 17 anni, dai tempi di NT 3.1, e a confermarlodopo la pubblicazione del bug da parte di Tavis Ormandy (che lavora per Google, sic!) – è stata la stessa azienda guidata da Ballmer.

Il “bug cinese” di IE fa volare Firefox: è record di download

Tra i due litiganti, il terzo gode. Scusate il commento poco originale con cui apriamo questo post, ma non avremmo saputo trovare frasi più efficaci per commentare quanto sta accadendo in questi giorni nel mondo dei browser.

Pare infatti che, al contrario di quanto in molti si sarebbero aspettati, a godere del cono d’ombra proiettato su Internet Explorer dall’affair cinese – quello che vede un bug del navigatore Microsoft come principale causa delle intrusioni hacker che hanno portato allo scontro tra Google e il governo cinese – non sia stato Google Chrome, ma Firefox.

Ad annunciare un inatteso record di download per il browser del panda rosso è stato Ken Kovash, direttore delle statistiche di Mozilla, il quale non ha nascosto il ruolo fondamentale del governo tedesco – che ha sconsigliato pubblicamente l’utilizzo di IE – nella faccenda: «Nei giorni scorsi abbiamo registrato un enorme incremento di download da utenti IE provenienti dalla Germania».

Internet Explorer “bandito” in Germania e Francia. Il piano oscuro di Google si realizza?

Nelle ultime ore sono successe cose che nemmeno il più ardito supporter di Mac o Linux avrebbe osato sognare. I governi di Germania e Francia hanno sconsigliato pubblicamente l’utilizzo di Internet Explorer, definendolo come un browser poco sicuro.

Tutta colpa dell’ormai celeberrima falla di IE, quella che ha consentito agli hacker cinesi di violare gli account Gmail dei dissidenti e spiare diverse aziende USA, scatenando la guerra tra Google e Cina.

Ma Microsoft non ci sta e di fronte a cotanto clamore cerca di gridare ai quattro venti che la situazione non è catastrofica come la si dipinge. La falla c’è, è vero, ma secondo il gruppo di Redmond sarebbe riferita solo ad Internet Explorer 6. O, meglio, le versioni successive del browser sarebbero anch’esse oggetto della vulnerabilità (Security Advisory 979352), ma in maniera pressoché insignificante per l’utenza comune.

Google VS Cina: tutta colpa di Microsoft… e dei profitti

Google ha cambiato idea, non andrà via dalla Cina. Ma si opporrà a qualsiasi forma di filtro. Microsoft, dal canto suo, si dice perplessa sull’atteggiamento di “big G” e annuncia che resterà nel paese della Grande Muraglia nonostante le censure. Poi arriva il colpo di scena: gli attacchi hacker che hanno fatto infervorare Google sono stati veicolati da una falla di Internet Explorer. Il gruppo di Redmond conferma, ma il rattoppo è ancora lontano dall’essere rilasciato.

Non c’è che dire. L’affair Google VS Cina sta assumendo sempre più i toni di una telenovela. Capirci qualcosa non è facile, ma noi vogliamo provarci. Se anche voi volete tentare la grande impresa, prendeteci per mano e seguiteci in questa landa tormentata fatta di intrighi internazionali, tecnologia e sudore (quello di Ballmer, si capisce).

Cos’è successo

Photo Credits: Endworld

Partiamo dall’inizio. Cos’è che per oltre una settimana ha fatto gridare Google allo scandalo e ha spinto il colosso di Mountain View a minacciare il suo ritiro dal mercato cinese? Una serie di attacchi hacker che hanno preso di mira gli account Gmail di molti dissidenti e i segreti di oltre 30 aziende statunitensi, tra cui la stessa Google. Malgrado non ci siano ancora conferme in merito, sembra che le intrusioni siano state architettate dal governo cinese.

Google si ribella alla censura cinese. Meglio tardi che mai? [AGGIORNATO]

Google e il regime comunista cinese non sono più amici. Dopo una connivenza durata circa quattro anni, il colosso di Mountain View si è finalmente passato la mano sulla coscienza ed ha deciso di dire “no” alle censure imposte dal governo della RPC.

Da due giorni, foto di eventi come la protesta di piazza Tian’anmen e informazioni come quelle riguardanti le violazioni dei diritti umani in Tibet risultano tranquillamente accessibili tramite Google.cn, versione mandarina del motore di ricerca numero uno al mondo che, come ben noto, finora aveva reso inaccessibili agli utenti tutte quelle informazioni ritenute scomode dalla dittatura cinese.

A cosa si deve quest’improvvisa sensibilità di ‘big G’ nei confronti dei diritti umani? A quanto pare, nei mesi scorsi alcuni hacker hanno cercato di intrufolarsi negli account Gmail di alcuni dissidenti non troppo simpatici al regime. Gli attacchi (non andati a buon fine, pare) sono stati quasi sicuramente ordinati dal governo locale e questo ha mandato su tutte le furie Google, che oltre ad aver abolito le censure di Stato, adesso minaccia pure di abbandonare il florido mercato cinese.

Il governo cinese installerà un filtro web su ogni pc

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Solo da pochi giorni era emerso l’ennesimo atto di censura della rete da parte del governo cinese, che The Wall Street Journal ha pubblicato una notizia secondo cui la dirigenza del partito comunista cinese ha silenziosamente ordinato ai produttori di PC di installare preventivamente un software di controllo dell’accesso ad Internet su tutti i computer venduti all’interno della nazione. Il software, che sembra essere stato sviluppato solo per Windows, sembra avere la possibilità di filtrare i contenuti al volo e, cosa molto più importante, sembra sia in grado di aggiornare da remoto delle whitelist e blacklist di siti web in modo del tutto automatico.

Il nome di questo software è Green Dam-Youth Escort ed è sviluppato da Jinhui Computer System Engineering. Il nome del software denota il suo primario obiettivo, è cioè quello di proteggere i giovani dai contenuti web considerati pericolosi, in primis il porno. Anche se l’attenzione che negli ultimi tempi il governo cinese sta dando al controllo della diffusione della pornografia attraverso le nuove tecnologie ha raggiunto livelli veramente elevati, nulla vieta, però, che una simile tecnologia possa essere utilizzata per fini squisitamente politici.