Microsoft, i Chromebook non sono dei veri laptop

Microsoft, i Chromebook non sono dei veri laptop

Microsoft, i Chromebook non sono dei veri laptop

Dopo aver attaccato Google su più fronti Microsoft ha ora scelto un nuovo bersaglio per la sua oramai ben nota campagna Don’t get Scroogled!: i Chromebook.

Sul sito web della campagna è infatti apparso un nuovo video ambientato in un negozio dei pegni di Las Vegas, il Gold & Silver Pawn Shop, dove il proprietario Rick Harrison ride quando una ragazza cerca di vendere il suo Chromebook.

Essendo i Chromebook basati su Chrome OS, il sistema operativo di big G pensato per poter eseguire applicazioni web, tutti i dati vengono conservati sul cloud. Proprio per questo è indispensabile poter sempre, o quasi, contare su una connessione ad internet e proprio per tale ragione Microsoft attribuisce al prodotto di Google un valore pari a zero.

Scroogled

Microsoft lancia il merchandising anti-Google

Scroogled

La campagna anti-Google di Microsoft fa un nuovo salto di qualità, lasciamo decidere a voi se verso l’alto o verso il basso. Nel Microsoft Store americano è infatti arrivata la sezione Scroogled in cui è possibile acquistare tazze, cappellini e t-shirt su cui campeggiano messaggi che ci ricordano quanto sia spiona “big G”, come faccia di tutto per raccogliere i nostri dati, ecc. Ecco qualche esempio:

Scroogled

Microsoft: la campagna anti-Google funziona

Nella sua campagna “Don’t get Scroogled!”, Microsoft ha evidenziato in maniera forte le violazioni della privacy che subirebbero gli utenti di Chrome, Gmail e tutti gli altri prodotti di Google. Ma una tecnica di marketing così aggressiva, in fin dei conti, è efficace o no? Secondo una ricerca condotta da Answers Research, parrebbe proprio di sì.

Scroogled

Oltre il 53% delle persone che hanno guardato gli spot anti-Google di Microsoft dice di vedere Bing sotto una nuova luce, o quantomeno di essere andato a cercare informazioni sull’argomento. Allo stesso tempo, il numero di utenti che consiglierebbero Google a un amico è sceso del 10% fra chi è venuto a conoscenza della campagna “Don’t get Scroogled!”, mentre è salito del 7% il numero di persone che consiglierebbe l’utilizzo di Bing.

Microsoft non può innovare, ecco perché (secondo il fondatore di RealNetworks)

Uno dei tanti luoghi comuni del mondo informatico vuole Microsoft incapace di innovare, stanca, e nemmeno più tanto brava ad andare dietro a coloro che invece sono riusciti a fare dell’innovazione il loro pane quotidiano: Google per i servizi online ed Apple per i software e i dispositivi mobili. Ma è davvero così? Si tratta davvero di un luogo comune? Secondo Rob Glaser, no. È la pura realtà.

L’ex vice presidente per i sistemi multimediali del gruppo di Redmond, adesso alla guida di RealNetworks (società produttrice di Real Player e molto altro ancora, che ha fondato nel 1994), ha messo nero su bianco la sua visione sull’azienda guidata da Steve Ballmer in questo sito, con un articolo in cui viene detto che “la capacità di Microsoft di innovare il mercato nel 2010 è molto più vicina a quella di IBM o HP che a quella di Google o Apple”.

Riprendendo poi la tesi di chi vede Steve Ballmer fuori da Microsoft entro qualche mese, il vecchio Rob ha identificato il peccato originale di Microsoft nella visione troppo PC-centrica del mondo, che come detto qualche giorno fa, si starebbe invece indirizzando verso il Web e i dispositivi mobili.

Microsoft denuncia Google all’antitrust, inizia una nuova sfida


L’ombra dell’antitrust torna ad incombere su Google. Microsoft (nelle vesti di Ciao! From Bing), insieme a Foundem (sito di comparazione prezzi) ed ejustice.fr (motore di ricerca francese), ha denunciato il colosso di Mountain View presso le autorità europee e statunitensi, asserendo che i risultati del suo motore di ricerca sono stati modificati ad arte in modo da penalizzare la concorrenza.

Nel mirino del gigante di Redmond – che ha spiegato le sue ragioni qui – c’è la posizione monopolistica di Google nell’ambito della ricerca e della pubblicità sul Web. Posizione di cui l’azienda californiana avrebbe abusato, facendo sparire le pagine interne dei siti concorrenti dai risultati delle ricerche e imponendo condizioni d’uso poco vantaggiose legate alla piattaforma Adsense.

L’indagine dell’Unione Europea, in ogni caso, non è ancora partita. I capi d’accusa sono attualmente in fase di studio e solo ad analisi conclusa Bruxelles deciderà se intervenire o meno.