Galaxy Tab non è cool come iPad

Il Samsung Galaxy Tab è meno cool dell’iPad, parola della Corte UK

Galaxy Tab non è cool come iPad

Probabilmente in molti non saranno d’accordo con quanto affermato lunedì da Colin Birs, il giudice della Corte di Londra che proprio alcune ore addietro ha dato torto ad Apple in una delle numerosissime cause per violazione della proprietà intellettuale che, oramai da qualche anno a questa parte, vede contrapposta Cupertino al gran colosso sudcoreano, dichiarando che il Samsung Galaxy Tab non può essere confuso con l’iPad perchè “non è altrettanto cool.

I tablet appartenenti alla gamma Galaxy, sempre stando a quanto reso noto dal giudice, non possiedono l’estrema e raffinata semplicità tipida dei prodotti con design Apple.

Trattasi senza alcun dubbio di una motivazione curiosa e ben diversa da tutte quelle date sino a questo momento, sempre relativamente ad accuse di violazione brevettuale, in altre sedi ed occasioni.

Per la prima volta per definire il design di un prodotto viene tirata in ballo una categoria, quella identificata come coolness, che non risulta, almeno non in genere, relativa al mondo tecnologico e che in questo caso non può essere considerata propriamente oggettiva.

Jimmy Wales difende Richard O’Dwyer

Jimmy Wales dice no all’estradizione dell’admin di TVShack

Jimmy Wales difende Richard O’Dwyer

Jimmy Wales, fondatore di Wikipeida, ha scelto di prendere le difese di Richard O’Dwyer, il giovane inglese creatore della piattaforma TVShack a rischio di una condanna di ben 10 anni di carcere in una prigione statunitense per accusa di violazione di copyright.

TVShack, ora oscurato, per chi non lo sapesse, era un aggregatore di collegamenti ipertestualizzati diretti verso servizi per la condivisione di contenuti digitali, sia legali che non, con cui il suo ideatore è riuscito a guadagnare, nel giro di tre anni, la modica cifra di circa 140 mila sterline grazie alla pubblicità ed a causa del quale ora rischia l’estradizione.

È la prima volta che accade un episodio di questo tipo ed il suo significato è tale che Jimmy Wales ha deciso di scendere in campo e di difendere O’Dwyer e ciò che rappresenta.

Julian Assange ha chiesto asilo politico all’ambasciata dell’Ecuador

Il ministero degli Esteri dell’Ecuador ha fatto sapere che Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, si è rifugiato presso la sede londinese dell’ambasciata del paese sudamericano chiedendo asilo politico.

È questo il nuovo capitolo del caso WikiLeaks e Julian Assange che va oramai avanti da qualche tempo a questa parte.

L’Ecuador sta attualmente valutando la richiesta fatta da Assange motivata, così come scritto nel comunicato ufficiale del ministero degli Esteri, da un’accusa all’Australia di aver abdicato ai propri doveri di protezione di un proprio cittadino perseguitato politicamente di fronte a richieste di interrogatorio in Svezia unitamente all’esistenza di indagini per delitti politici negli Stati Uniti dove per reati di questo tipo è attualmente in vigore la pena di morte.

Julian Assange, respinto il secondo ricorso

La Corte Suprema britannica si è pronunciata ancora una volta in merito al caso sull’estradizione in Svezia di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, respingendo la nuova richiesta di riesame della difesa poiché ritenuta “senza merito”.

Quella in questione rappresentava l’ultima possibile mossa per i legali di Assange nel Regno Unito puntando, al contempo, a cercare di far riconoscere alla Corte Suprema un’interpretazione differente della vicenda che l’avrebbe costretta, almeno teoricamente, a riaprire il caso.

Ad Assange è stato però accordato un rinvio di 14 giorni per l’esecuzione dell’estradizione ed entro tale limite di tempo il fondatore di WikiLeaks accusato di violenza sessuale portà portare avanti la propria causa con un ultimo ricorso dinanzi la Corte europea dei Diritti dell’Uomo.

Google Street View Regno Unito

Google Street View, riaperto il caso nel Regno Unito

Google Street View Regno Unito

Si continua a parlare di Google, di Street View e di quella che è la situazione del celebre servizio offerto da big G in Europa poiché, proprio nel corso delle ultime ore e così come avevano anticipato alcune voci di corridoio, le autorità britanniche hanno deciso di riaprire il caso di cui si è tanto parlato settimane addietro.

A finire nell’occhio del ciclone è la presunta violazione di privacy del servizio di mappatura delle strade di Google Street View ed a dare il via alla nuova indagine è stato lo studio dell’Information Commissioner’s Office (ICO) del rapporto statunitense in merito al caso.

L’accusa è sempre la stessa ovvero quella di aver raccolto i dati personali degli utenti con reti Wi-Fi aperte unitamente a foto di strade e case da utilizzare per arricchire e completare il servizio Street View.

Inizialmente, a tal proposito, il Commissario alla privacy britannico aveva ritenuto valido quanto sostenuto da Google secondo cui, appunto, la raccolta in questione era stata effettuata in maniera accidentale ed aveva quindi accettato le scuse di big G e preso per buona la promessa di cancellare il tutto.

Google Street View sanzione Germania

Google e il caso Street View: sotto inchiesta nel Regno Unito

Google Cars inchiesta dati rubati

Di Google Street View, delle Google Cars e della questione dati personali degli utenti se ne discute già da qualche tempo a questa parte ma, proprio nel corso delle ultime ore, il caso sembrerebbe aver suscitato nuovamente l’interesse delle autorità e, nello specifico, di quelle del Regno Unito.

Infatti, dopo che nel 2010 la Information Commissioner aveva definito il gran colosso delle ricerche in rete colpevole ma in maniera involontaria e, proprio per tale ragioni, non punibile ora, invece, viene alla luce un’altra scomoda verità: le Google Cars sono state progettate appositamente per raccogliere dati.

Le informazioni private raccolte comprensive di dati quali conversazioni di messagistica istantanea, URL, nomi utente e password, foto e quant’altro tratte dalle reti WiFi private non criptate sarebbero quindi state archiviate volutamente dal gran colosso del web che, qualche anno addietro, aveva assicurato che il tutto era stato frutto di un grosso errore.