Google, la questione privacy e la lettera aperta dell’Europa

Google privacy policy Unione Europea

Negli ultimi giorni Google ha apportato alcune modifiche alla sua privacy policy, un’operazione che, seppur apparentemente estremamente positiva, non è risultata cosa gradita ne ad alcuni tra i principali giganti dell’IT, come ad esempio nel caso di Microsoft, ne all’Unione Europea.

Le nuove regole di Google relative al trattamento dei dati personali degli utenti che, così come reso noto da big G, entreranno in vigore a partire dal primo marzo dell’anno corrente, sono infatti sotto l’attento occhio dell’Unione Europea e, nello specifico, di quello di Viviane Reding, Commissario Europeo alla Giustizia, che ne ha richiesto il rinvio dell’introduzione in modo tale da poter consentire alle authority  sulla privacy dei vari paesi di verificarne la piena compatibilità con le normative nazionali.

L’Unione Europea, infatti, non è certa del fatto che il nuovo documento di Google sia conforme alle leggi comunitarie del vecchio continente e la Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés francese è stata incaricata di provvedere alla verifica.

UE: le nuove regole per la protezione dei propri dati in rete

Nuove regole UE protezione dai personali in rete

Nel corso delle ultime ore Viviane Reding, Commissario Europeo alla Giustizia, ha iniziato a ragionare su quelle che, tra qualche tempo, dovrebbero conformarsi come le nuove regole grazie alle quali garantire un’adeguata protezione ai dati telematici degli utenti.

Le nuove regole saranno presentate in via ufficiale il prossimo mercoledì al World Economic Forum in Svizzera e le novità esposte andranno a configurarsi come tutt’altro che di poco conto, sia per quanto concerne le aziende operanti in rete sia per quanto riguarda gli utenti e, nello specifico, gli internauti.

Mediante le nuove regole nessuno, così come dichiarato dal Commissario Viviane Reding, potrà giustificare il proprio grado di disattenzione al rispetto della privacy e tutte le aziende operanti in rete, social network inclusi, dovranno garantire ai cittadini europei quello che, senza mezzi termini, può essere definito come “il diritto ad essere dimenticati”.

L’UE indaga sul prezzo degli eBook: anche Apple è coinvolta

eBook

La notizia risale a qualche ora addietro ed è ufficiale: la Commissione Europea ha aperto formalmente un’indagine sul settore eBook che vede coinvolti alcuni dei maggiori editori al mondo ed Apple.

Sostanzialmente viene contestata la creazione di un cartello finalizzato ad influenzare il mercato degli eBook con l’obiettivo di mantenere più alti del dovuto i prezzi del settore.

Le indagini preliminari erano già state avviate a marzo dell’anno corrente e, considerando il fatto che la normativa europea in materia di concorrenza vieta la costituzione di cartelli e di altre eventuali pratiche restrittive relativamente ad una data attività commerciale, le autorità avevano annunciato delle ispezioni a sorpresa in diversi paesi del vecchio continente presso gli uffici di buona parte degli editori sospettati.

Telecoms package, la libertà su Internet ancora a rischio?

La libertà di Internet è ancora sotto attacco. A sostenere questa tesi è l’associazione Assoprovider, la quale ha scritto una lettera aperta al parlamento europeo in merito all’affair “Telecoms package“, la normativa che, se approvata, consentirebbe ai gestori telefonici di regolare a proprio piacimento le condizioni nelle quali gli utenti possono utilizzare le applicazioni ed i servizi più comuni (software per l’IM, client VoIP, client P2P, social network, ecc.).

«E’ come se il gestore di un autostrada decidesse di incolonnare tutte le auto gialle su un casello e tutte quelle rosse su un altro, facendo viaggiare le auto gialle al doppio della velocità di quelle rosse e dando la precedenza esclusivamente a quelle che portano il suo marchio». Guido Scorza, giurista e presidente dell’istituto per le politiche dell’Innovazione, tra i firmatari della lettera aperta, ha descritto in questo modo la norma attualmente discussa al parlamento europeo. Qualcun altro, invece, non ha esitato a definirla come una sorta di “apartheid digitale.

Esagerazioni? Non proprio.