Spotify ha reso noti i risultati del suo 2012. Risultati che evidenziano da un lato la fortissima crescita del servizio su scala globale e dall’altro il peso, ancora troppo duro da sopportare, delle royalties che vengono versate alle major per poter fornire la musica agli utenti.
A fronte di un fatturato pari a 435 milioni di euro, oltre il doppio rispetto ai 190 milioni del 2011, Spotify ha infatti registrato una perdita netta di 58,7 milioni (in salita rispetto ai 45,4 milioni dell’anno precedente). Fra questi numeri spiccano – come appena accennato – le royalties versate alle case discografiche, che “mangiano” in un sol boccone il 70% degli introiti complessivi del servizio.
Questo significa che dei 9,99 euro che i sottoscrittori di Spotify Premium pagano per usufruire della versione completa del servizio, appena 2,99 vanno a Spotify, i restanti 7 finiscono dritti nelle tasche dei discografici.
Da questo semplicissimo calcolo si evince perché in molti ritengono il mercato della musica in streaming ancora troppo immaturo per assicurare un modello di business vincente e duraturo.
A tal proposito, i vertici di Spotify hanno annunciato di “non escludere la necessità di raccogliere più fondi in futuro per finanziare iniziative di crescita futura”. Per il momento, comunque, non sembra esserci il rischio di rincari per noi utenti.
Nuovi fondi e investimenti privati difficilmente tarderanno ad arrivare, ma rimane assolutamente da sciogliere il nodo relativo alle royalties. Creare un business solido dalla musica in streaming è interesse di tutti, in primis delle case discografiche, che proprio grazie a piattaforme come Spotify hanno l’opportunità di ridurre – e di molto – la pirateria.
Speriamo se ne accorgano prima che sia troppo tardi.