Il co-fondatore e CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, ha rilasciato una lunga intervista al New York Times nel corso della quale ha parlato del suo social network e di come vede il futuro, soprattutto in ambito mobile.
L’imperativo dell’ex-matricola di Harvard è differenziare l’esperienza utente su smartphone e tablet “spacchettando” la app principale di Facebook e fornendo diversi modi per interagire con i suoi contenuti.
«In ambito desktop, dove siamo cresciuti, ha più senso avere un sito Web con diversi metodi di condivisione al suo interno», ha spiegato Zuckerberg. Su smartphone, però, la gente vuole cose diverse. Sui telefonini – secondo il CEO di Faceboook – vengono apprezzate molto le applicazioni “monouso” in grado di fornire un’esperienza utente di qualità per singole operazioni.
Qui entrano in gioco i Creative Labs, i laboratori con cui Facebook sta cercando di destrutturare la grande app blu e – come dicevamo prima – differenziare l’esperienza utente sul social network.
Per capire meglio qual è la direzione verso la quale sta andando il gruppo, basta guardare agli esperimenti come Facebook Paper e alle acquisizioni eccellenti degli ultimi mesi: WhatsApp e Instagram su tutte, che forse sì, hanno avuto costi esagerati, ma rientrano in una strategia ben precisa con obiettivi a lunghissimo termine.
Proprio in riferimento alle app dell’ecosistema che Facebook sta cercando di costruire (un po’ in proprio e un po’ con acquisizioni eccellenti), Zuckerberg ha chiarito che per ora il vero business è rappresentato dalla app ufficiale del social network. D’altronde con 1 miliardo e più di utenti che la usano ogni giorno non potrebbe essere diversamente.
In secondo piano ci sono Instagram, WhatsApp e Messenger che sono quasi pronti a diventare un vero business ma lo saranno solo nei prossimi 2-3 anni. infine ci sono “esperimenti” come Paper e Home che richiederanno ancora più tempo per mostrare le loro potenzialità economiche: fra 2 o 3 anni saranno al livello in cui si trovano attualmente WhatsApp e Instagram, dice il “capo” di Menlo Park.
Questi sono solo alcuni dei punti toccati nell’intervista pubblicata dal New York Times. Vi invitiamo a leggerla tutta, ne vale la pena.
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