Come bypassare la censura di Twitter

La notizia che Twitter censurerà i messaggi per i quali le autorità legali richiederanno l’oscuramento ha colpito la sensibilità di molti internauti, che in questi giorni stanno già lottando con i propri nervi a causa delle leggi bavaglio contro Internet e dalla chiusura di Megaupload. Forse però il quadro di Twitter non è così nero come lo si vuole dipingere.

Premesso che ogni forma di censura, anche quella meno invasiva, è da deprecare, Twitter non sta facendo altro che adeguarsi ad un comportamento comune a tutte le grandi aziende che vogliono fare affari in varie parti del mondo. Basti pensare a Google che, prima delle note vicende, accettava di buon grado e con il capo chino la censura cinese pur di entrare in un mercato succulento come quello del Paese della Grande Muraglia.

Digressioni sulle multinazionali parte (le ha fatte molto meglio del sottoscritto Luca Conti), pare ci sia un modo molto semplice per bypassare la censura di Twitter. Basterebbe, difatti, cambiare il Paese nelle impostazioni del proprio account e i tweet censurati tornerebbero visibili.

Twitter dà il via alla censura

Twitter censura tweet

Trattasi di censura preventiva, o forse sarebbe meglio definirla come “selettiva”, quella che Twitter, il ben noto servizio di microbloggin, d’ora in avanti applicherà per singoli paesi ai tweet degli utenti qualora venisse richiesto dalle autorità per motivi legali.

Questo, in alteri termini, sta a significare che tutti i messaggi pubblicati su Twitter potranno essere oscurati, su richiesta delle autorità legali, solo e soltanto in uno specifico paese risultando quindi ancora visibili nel resto del mondo.

Il tutto avverrà in maniera estremamente trasparente poiché, così come spiegato mediante un apposito post, dal titolo “Tweets stillmust follow”, pubblicato, nel corso delle ultime ore, sul blog ufficiale di Twitter, a ciascun utente verrà sempre comunicato quando e perchè quello specifico contenuto è stato “censurato”.

Sgarbi vuole far sequestrare Wikipedia (?)


Dopo il fortunatamente estinto decreto Romani e i presunti tentativi di Berlusconi di censurare Internet per favorire Mediaset, un altro politico (o politicante) italiano sferra il suo attacco contro la Rete e la sua libertà. Eccessiva e irritante, per alcuni.

Stiamo parlando di Vittorio Sgarbi, il noto esperto d’arte infervorato su commissione, che ha approfittato ancora una volta dei (troppi) riflettori puntati su di sé per spararne una grossa: ha minacciato di far sequestrare Wikipedia a causa di alcune inesattezze che sarebbero state scritte sul suo conto.

Wikileaks, nuove rivelazioni sull’Italia e Berlusconi

Come preannunciato nella giornata di ieri, Repubblica e L’Espresso hanno cominciato a pubblicare nuove rivelazioni di Wikileaks riguardanti l’Italia e il suo Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. I nuovi cablogrammi (circa quattromila) riguardano le comunicazioni interne dell’ambasciata USA a Roma e si traducono in oltre 30.000 pagine di “documenti segreti che raccontano l’Italia e i suoi protagonisti” in maniera dura e cruda.

Tra le rivelazioni più “scottanti”, quelle contenute in una lettera dell’ex-ambasciatore americano in Italia Ronald Spogli (repubblicano, operativo sotto il governo Bush), che durante i suoi ultimi giorni di servizio (febbraio 2009) scrisse al neo-segretario di Stato USA Hillary Clinton definendo Berlusconi come un gaffeur affarista e l’Italia come un Paese in declino.

Berlusconi vuole censurare Internet per favorire Mediaset, parla Wikileaks (aggiornato)


Berlusconi vuole la regolamentazione di Internet, lo sostenevamo noi in uno dei post più commentati nella storia di Geekissimo, lo sosteneva – a quanto pare – anche l’ambasciatore USA a Roma, David Thorne.

In un cablogramma datato 3 febbraio 2010 comparso ieri su Wikileaks, il diplomatico americano esprime tutta la sua preoccupazione per il tristemente famoso decreto Romani (adesso per fortuna decaduto), che viene definito come “una legge che darà la possibilità di bloccare o censurare qualsiasi contenuto” per favorire le imprese di Silvio Berlusconi rispetto alla concorrenza.

Google Instant e le parole “proibite”

Google è buono. Google è bello. Google pensa che “là fuori” ci sia un mondo pieno di insidie. Ecco perché il nuovo sistema Google Instant, che permette di visualizzare i risultati delle ricerche senza premere Invio, blocca la comparsa automatica dei risultati ritenuti “rischiosi”: quelli relativi a termini aventi a che fare con la sessualità, la violenza e altre cose “brutte, brutte, brutte” che si possono trovare in Internet, così come nella vita.

Nulla di male, ci verrebbe da pensare. Se non fosse che questo sistema di protezione (o censura, fate un po’ voi) blocca anche dei termini che di periglioso o scabroso hanno ben poco. Il sito ‘2600.com’ sta cercando di raccoglierli tutti in una lista e quello che ne sta venendo fuori è un quadro quantomeno grottesco, con termini assolutamente innocui bloccati da Google Instant e parole/frasi molto più controverse fatte passare senza battito di ciglia. Volete qualche esempio? Non vi resta che continuare a leggere.
  • 4chan – bloccato se seguito da uno spazio e una “b”. d’altronde è un fatto risaputo che le imageboard contenenti la sovversiva seconda lettera dell’alfabeto sono pericolosissime.
  • Are (sono) – se messo dopo termini relativi a gruppi etnici o religiosi (es. evangelists, iranians, ecc.) la ricerca istantanea viene bloccata. Google ci insegna che le persone non si giudicano in base alla loro etnia, religione o idee politiche.

Continua il braccio di ferro fra Google e Cina

I rapporti fra Cina e Google sono sempre più difficili e a rincarare la dose contribuisce quest’ultima notizia.

Le cose in sintesi sono andate così: Google ha inizialmente acconsentito alla censura cinese, fino a qualche tempo fa il motore di ricerca più importante del mondo arrivava agli utenti cinesi con qualche differenza, ovvero i risultati segnati dalla censura cinese come vietati non comparivano.

Fin qui le cose andavano fra le proteste dell’opinione pubblica occidentale. In seguito ad un attacco hacker ai danni di alcuni account GMail di attivisti dei diritti umani cinesi Google ha reagito con forza. L’attacco infatti è stato imputato al governo cinese e come conseguenza Google ha trasferito la propria sede ad Honk Kong.

Se ci fosse Twitter in Cina sarebbe un social network diverso

Le polemiche con la Cina non sono mai abbastanza. Gli attacchi che il Governo cinese sferra costantemente ai danni del web e di conseguenza dei propri cittadini sono sempre meno tollerati sia dagli altri Governi che dalle compagnie stesse.

Molti attivisti cinesi sono costretti a lasciare la patria per fuggire dalle persecuzioni e trovano nel web l’unico modo di far sentire la propria voce e rimanere in contatto con la base di consenso creata sul territorio. Gran parte dei principali ocial network sono banditi in Cina e Google, come sappiamo, non ha vita facile tanto da mettere in discussione la propria presenza o meno.

Una vittima eccellente della censura cinese è Twitter che ormai da più di un anno non è accessibile ai cittadini cinesi. Quello a cui nessuno ha pensato però è che Twitter in cinese non è il Twitter che conosciamo.

140 caratteri possono sembrare pochi e buoni giusto a postare una frase accattivante ed un link di approfondimento, ma questo è valido se si ragiona con l’alfabeto occidentale. In cinese 140 caratteri corrispondono a 140 ideogrammi, ognuno dei quali esprime un intero concetto.

Decreto Romani, indietro tutta

Il pericolo è scampato, la figuraccia internazionale no. Con oltre trenta richieste di modifica, di cui il Governo si è fatto carico, il Parlamento italiano ha espresso parere favorevole sul decreto Romani, quello che voleva equiparare YouTube alle emittenti televisive. Ma le parti riguardanti il Web sono state quasi tutte rimosse.

In un documento di dieci pagine redatto da PDL e Lega, che stabilisce le condizioni a cui il decreto Romani verrà approvato, è infatti possibile scorgere la frase “blog, giornali on line, motori di ricerca restano liberi e la responsabilità editoriale non ricade sui provider che ospitano contenuti altrui”, che di fatto mette la parola fine sulla questione YouTube e censura.

Secondo le nuove disposizioni, dovranno invece registrarsi all’AGCOM (quindi non più al Ministero) e rispettare leggi simili a quelle delle emittenti TV i servizi di video on demand con liste di contenuti che vengono sfruttati commercialmente (es. quelli offerti da Alice di Telecom Italia).

Decreto Romani: censura sì, censura no, se famo du’ spaghi?

Le dirette streaming sono uguali alle dirette televisive, pertanto devono sottostare alle stesse regole, anche se chi le allestisce non è ancora entrato nell’età della pubertà o guadagna in vent’anni ciò che un editore televisivo guadagna durante il solo spot dei Pavesini. E i canali YouTube, che tutti noi possiamo aprire e gestire liberamente? Ovviamente, sono tante emittenti televisive. Devono rispettare le stesse leggi di Rai Uno, Canale 5 e La7 e, se infrangono i diritti d’autore, vanno oscurati immediatamente!

Ecco riassunto in cinque righe l’ultimo scempio videocratico rigurgitato dai nostri governanti, quello che viene ormai riconosciuto universalmente come decreto Romani (dal nome del viceministro alle Comunicazioni, quello che negli ultimi mesi è andato decantando le mirabilie del digitale terrestre in ogni dove) e che, qualora entrasse in vigore, demolirebbe molte delle linee di confine che attualmente separano la “nostra” Rete da quella di Pechino.

La stupidità (più che follia) intrinseca in questo decreto è stata riconosciuta addirittura dall’AGCOM. Il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò, ha infatti espresso il suo parere a riguardo dichiarando che: «quello del decreto Romani sarebbe un filtro generalizzato su internet, da una parte restrittivo come nessun paese occidentale ha mai accettato di fare, dall’altra inefficace, perché burocratico a priori».

Il governo Cinese blocca IMDb, ancora un’altra censura

Purtroppo, nonostante l’inizio del terzo millennio sia passato ormai da ben dieci anni, la situazione mondiale è cambiata ben poco per quanto riguarda il numero di conflitti e di dittature nel mondo, vere e proprie piaghe dell’umanità che dovrebbe vergognarsi di tollerare ancora nel 2010 simili ingiustizie. Uno degli esempi più lampanti è la Cina, una dittatura che sembra avere tutta l’intenzione di rimanere al potere almeno per i prossimi 50 anni, e che compie giornalmente pesanti atti di censura per indottrinare le nuove generazioni e consolidare il suo potere.

Arriva il DDL contro Facebook: la montagna ha partorito il topolino? [AGGIORNATO]

Un gruppo di deficienti mette a soqquadro una scuola? È colpa di Facebook. Dei delinquenti non ancora entrati nell’età della pubertà ricattano gli amici con “filmati compromettenti” girati sul telefonino? È colpa di Facebook,non di Corona. Un mentecatto decide di scagliare un souvenir in faccia al Presidente del Consiglio del suo stesso Paese? Indovinate un po’ la colpa di chi è. Di Facebook, ovviamente.

Eccoci quindi costretti a parlare del paventato DDL anti-social network (com’è stato ribattezzato da più parti) che la ‘Villa Arzilla’ che ci governa si appresta a discutere e – visto l’andazzo – ad approvare.

Ad accennare qualcosa sul contenuto del disegno di legge è il Senatore Raffaele Lauro del PDL che, come si legge su TGCOM, auspica l’istituzione del reato di “istigazione e apologia dei delitti contro la vita e l’incolumità della persona, anche tramite Internet e social network”.

In Cina non è più possibile registrare nuovi domini. Ennesima Censura!

Businessman's Mouse

Di internet libero se ne sta parlando parecchio in queste ultime settimane. Dopo la proposta di alcuni parlamentari di aumentare le leggi (restrizioni a mio parere), nei confronti della rete, dalla Cina non arrivano notizie rassicuranti neanche da quel fronte. Notizie di una nuova censura sono arrivate nella giornata di ieri direttamente dal fronte cinese.

Come ben sapete, da quelle parti, non gira una bella aria e si cerca sempre di più di limitare l’accesso alla rete, per paura di far “uscire” notizie che potrebbero far apparire il governo cinese sotto una cattiva luce. Alcuni mesi fa, venne bloccato l’accesso ai principali social network, si parla di Facebook e Twitter. Adesso sono passati a bloccare il problema dall’inizio, bloccando la registrazione dei nomi a dominio.

Last.fm e MySpace bloccati in Turchia?

Censura

Ultimamente gli atti di censura da parte dei governi non totalmente aperti verso il web stanno aumentando, sulla scia dei pesanti comportamenti antidemocratici attuati dai cinesi, i quali ogni giorno trovano un nuovo metodo per privare i propri cittadini della libertà di navigazione e d’informazione, adducendo come scusa la “protezione dei ragazzi online“. Ma mentre per quanto riguarda la Cina il blocco è totale, in altri paesi si cerca di bloccare o censurare l’accesso solo ad alcuni siti, censurandone il contenuto per garantire la riservatezza di alcune informazioni scomode al governo. Sicuramente direte: stiamo parlando dell’Italia? Fortunatamente ancora no, anche se non sappiamo per quanto tempo nel nostro paese la libertà d’informazione rimarrà tale. Questa volta, ad essere messa sotto accusa è la Turchia.