I Big Data, vale a dire quella mole di informazioni tratta da Internet che a detta dei più potrebbe via via andare a sostituire i ben “classici” sondaggi, sono ormai diventati un punto di riferimento imprescindibile per conoscere in maniera più o meno precisa l’opzione pubblica in rete.
Facebook, Twitter, Instagram, i blog tematici, le lettere inviate ai giornali, i Big Data sono insomma tutto ciò che viene postato in rete su base quotidiana, sono dunque gli internauti stessi. Evidente dimostrazione di tutto ciò è lo studio sui principali canditi a sindaco per le elezioniamministrative a Roma che si terranno il prossimo 5 giugno 2016.
Ricordate il sondaggio ordinato dall’allora Ministro per i Beni Culturali, Massimo Bray, per indagare sulle abitudini degli italiani circa la creazione di copie private per film, album musicali e altre opere coperte da diritto d’autore? Nonostante qualche titubanza di troppo, i risultati sono stati pubblicati e – indovinate un po’? – salta fuori che non ci sarebbe alcun motivo per aumentare i prezzi di DVD, hard disk, smartphone, tablet e tutti gli altri prodotti su cui grava la famigerata tassa dell’equo compenso.
Purtroppo ci tocca parlare nuovamente di possibili aumenti sui prezzi di smartphone, tablet, hard disk e qualsiasi altro dispositivo atto a ospitare copie di film o opere musicali. Il motivo è, come facilmente intuibile, quella tassa denominata equo compenso, attraverso la quale le associazioni degli autori, come l’italiana SIAE, ricevono una sorta di indennizzo per i mancati introiti causati dalle copie che gli utenti farebbero delle opere acquistate regolarmente.
Siamo costretti a parlare ancora di Web tax, per fortuna con un risvolto positivo, o parzialmente positivo, questa volta.
Come molti di voi ben ricorderanno, la legge promossa dal Presidente della commissione bilancio della Camera, Francesco Boccia, che imponeva alle aziende italiane di acquistare pubblicità e link sponsorizzati solo da soggetti titolari di Partita IVA italiana, era stata prima approvata e poi rimandata a luglio.
Pericolo scampato, almeno per ora, sul fronte dell’equo compenso. Nonostante le pressioni della SIAE, la somma che tutti noi paghiamo come “indennizzo” ai titolari dei diritti d’autore ogni volta che acquistiamo un hard disk, una chiavetta USB, un DVD, un PC o qualsiasi altro dispositivo possa essere utilizzato per realizzare una copia privata di un’opera acquistata regolarmente, non aumenterà.
Nel corso di un’audizione alla quale hanno partecipato i rappresentanti delle maggiori associazioni di categoria, il ministro dei Beni e delle attività culturali Massimo Bray ha annunciato che non verrà applicata alcuna maggiorazione automatica all’equo compenso. Si procederà bensì a un monitoraggio della situazione per capire con esattezza se e quali dispositivi o supporti i consumatori utilizzano per effettuare copie private di opere protette da copyright.
Dopo la recente approvazione da parte del Senato, la Web tax sarebbe dovuta entrare in vigore entro il mese di gennaio ma i programmi sono già cambiati. Ieri, infatti, il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto decreto “milleproroghe” all’interno del quale è stato inserito uno slittamento per l’entrata in vigore della norma.
Alla luce di questi cambiamenti, la Web tax sarà attiva da luglio e non più dall’inizio del 2014, come previsto inizialmente. Nella sostanza nulla cambia – il provvedimento rimane discutibile e controproducente sotto molteplici punti di vista – ma almeno gli operatori del settore avranno più tempo per adattarsi alla nuova normativa.
Giusto in tempo per le festività natalizie, il Senato ha dato il suo OK alla Legge di stabilità e, con essa, è stata approvata anche la tanto discussa Web tax. Per chi non avesse avuto modo di approfondire l’argomento, la cosiddetta Web tax (anche conosciuta come “Google tax” e “Spot tax”) è un emendamento promosso, fra gli altri, dal presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia (Pd) secondo cui “i soggetti passivi che intendano acquistare servizi di pubblicità e link sponsorizzati online anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistateli da soggetti titolari da una partita IVA italiana”.
La norma, inizialmente prevedeva l’obbligo di P. IVA anche per le società di ecommerce ma i borbottii del segretario Pd Renzi sulla questione – ahinoi più delle puntuali critiche dei lavoratori e delle aziende che operano nel settore – hanno spinto gli autori della Web tax a rendere meno duro il proprio pugno.
Dopo le polemiche dei giorni scorsi e la presa di posizione di Matteo Renzi, nuovo segretario del Partito Democratico che si è detto pubblicamente contrario alla Web Tax, l’emendamento sulla tassazione “forzata” delle tech companies è stato riformulato e “ammorbidito” in alcuni punti. Ma la bocciatura auspicata dal sindaco di Firenze e – soprattutto – da molti operatori del settore non è arrivata.
“Pagare le tasse è una cosa bellissima”, disse qualche anno fa un Ministro dell’economia ora scomparso. Sarà, ma qui nessuno ha voglia di pagare le tasse: né noi comuni mortali né le grosse aziende multinazionali, che però, a differenza nostra, possono attuare degli stratagemmi grazie ai quali rimanere nella legalità pur pagando cifre irrisorie rispetto ai loro utili da capogiro.
Le tech companies, Google, Apple, Microsoft, ecc. non sono estranee a questi comportamenti “allegri” sotto il punto di vista fiscale. Anzi, con i loro doppi irish e col celebre panino olandese – attraverso cui vengono creati dei fruttuosi intrecci fra le sedi di Irlanda, Olanda e i paradisi fiscali, per ridurre le tasse al minimo – si sono attirate le attenzioni dei governi europei. Anche quello italiano, per sfortuna nostra e loro.
Chiunque abbia un contatto con il mondo esterno ha saputo cose è successo al presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Tutti sanno che è stato colpito in pieno volto da un oggetto (souvenir di Milano) lanciato da un uomo chiamato Massimo Tartaglia. In questo post non voglio assolutamente esprimere il mio giudizio in merito a ciò che è accaduto. Proverò quindi a scrivere assumendo un atteggiamento quanto più possibile imparziale.
In questo post non si parlerà assolutamente di politica, questo argomento lo lascio agli editori di politicalive. Voglio invece parlarvi di cosa sta avvenendo nel social network più importante della rete, mi riferisco ovviamente a facebook. Cosa sta succedendo? In pratica, degli utenti si sono ritrovati, a loro insaputa, iscritti a gruppi che normalmente avrebbero ripudiato.
Grazie ad un’osservazione di Mashable è stato calcolato il tasso di crescita di Facebook in termini di utenti per giorno. La statistica non è delle più accurate, si basa su una semplice media fatta per l’anno 2008 considerando i dati di Facebook, ma restituisce ugualmente le dimensioni macroscopiche di questo fenomeno, che ormai ha lasciato la gabbia della rete ed è entrato nella cultura di massa.
Al momento il numero di utenti di Facebook è stimato sull’essere maggiore di 325 milioni di utenti, se fosse uno Stato sarebbe uno dei maggiormente popolati al mondo. Considerando i dati dal 26 Agosto 2008 al 6 Novembre 2009 si calcola che Facebook aggiunge ogni giorno poco meno di 500.000 utenti.
Come Mashable giustamente fa notare il tasso di crescita in termini di utenti per giorno è ancora più impressionante se lo si considera fra i mesi di Luglio e Settembre 2009. In questo caso infatti si raggiunge un tasso di crescita pari a 793.650 utenti al giorno, una crescita quasi difficile da immaginare e sulla quale ogni proiezione risulta essere puramente speculativa data l’eterogeneità del target.
Quello che Mashable risparmia e noi non risparmieremo è un piccolo calcolo scientificamente insignificante, ma che aiuta a visualizzare le proporzioni di questo fenomeno. Se si considera il tasso di crescita medio dell’anno 2008, ovvero 500.000 utenti al giorno, e si immagina che questo tasso di crescita si mantenga costante per i prossimi 3 anni, ignorando dunque la tendenza crescente prima osservata ed eventuali considerazioni sulla sostenibilità di questo ritmo, si giunge ad un dato impressionante.
Alle dichiarazioni del Primo Ministro Silvio Berlusconi in cui esortava il mondo dell’imprenditoria a non comprare spazi pubblicitari da Repubblica, ha risposto il web con un’inziativa che è passata attraverso Facebook.
Il gruppo “UNA PAGINA PUBBLICITARIA SU REPUBBLICA” ha raggiunto 3600 iscritti in poco tempo e con le donazioni di 500 utenti è stato in grado di acquistare una pagina pubblicitaria su Repubblica del 8 Luglio 2009. La pagina acquistata riporta una lettera aperta ai Presidenti dei paesi membri del G8, salvo Silvio Berlusconi per ovvi motivi.
Il gruppo di sottoscrittori si definisce politicamente eterogeneo e protesta contro “la sostanza e la forma di questo governo“. Dopo una lettera sobria in pieno “stile cartaceo” un caps lock che riporta la scritta “FATELO SAPERE, NON LASCIATECI SOLI!” ha un effetto particolare visto su una pagina di uno dei giornali cartacei più letti d’Italia.
Sui parlamentari italiani nel corso degli anni si è detto tutto e il contrario di tutto. Ma dov’è che inizia la retorica e dove, invece, la realtà dei fatti? Per cercare di capire in modo dettagliato e analitico lo stato delle cose nei due rami del parlamento italiano, arriva in nostro soccorso openparlamento, che ha lo scopo di aiutarci a rintracciare i dati di fatto su quello che accade ogni giorno in Parlamento, permettendoci di seguire passo passo le attività del singolo parlamentare, le vicende del disegno di legge o della mozione.
Openparlamento è uno strumento creato da openpolis, un’associazione senza scopo di lucro e “indipendente da partiti e movimenti politici” che promuove l’uso della rete e di software open source per favorire la trasparenza pubblica e la partecipazione collettiva al controllo delle informazioni e delle scelte politiche. Openpolis è famosa sul web per due sue importanti strumenti: voisietequi.it ed openpolis.it.
La vittoria di Barack Obama alle elezioni 2008 Americane, è stata in gran parte dovuta all’utilizzo che il team del nuovo presidente ne hanno fatto della rete. Internet è stato uno dei principali campi dove Barack ha proposto le sue idee per un America migliore rispetto al passato. Beh, il suo viaggio nella rete continua.
Grazie alla sua vittoria, sta portando pian piano sempre più aumentando gli orizzonti della casa bianca sulla rete. Il primo passo è stato quello di creare e usare un canale di Youtube per comunicati importanti o per semplici “chiacchiere” tra cittadini e il presidente. Adesso, però, si sta arrivando al momento di sfruttare i Social Network. Prima si inizia con Facebook e ora arriva anche MySpace.