Cryptome: ovvero come le forze dell’ordine riescono a farsi consegnare i dati degli utenti

Cryptome

Da un bel po’ di mesi a questa parte si è parlato molto di Wikileaks e di tutto quanto ad esso connesso ma ben poca rilevanza, invece, è stata data a Cryptome, un sito web dalle azioni analoghe, creato da John Young nel 1996 e sconosciuto al vasto pubblico ma più che noto alle grandi aziende come, ad esempio, Microsoft.

Il sito web in questione ha recentemente messo online diversi documenti esclusivi e riservati in cui sono descritte le metodologie impiegate dalle forze dell’ordine per avere accesso ai dati degli utenti presenti sui social network e su diversi altri servizi web.

I documenti messi online da Cryptome sono oltre 65.000 ed illustrano, in maniera più o meno dettagliata, come gli utenti iscritti a Facebook e ad altri vari servizi resi disponibili dai colossi dell’IT quali, ad esempio, Microsoft e AOL, possano essere facilmente spiati a loro insaputa.

Per quanto riguarda l’ultimo carico di documenti aggiunti a Cryptome anche gli attivisti di Anonymous hanno dato il loro contributo fornendo una buona dose di materiale tra cui viene inoltre descritta in maniera molto precisa la procedura mediante cui le forze dell’ordine possono ottenere tutti i dati degli utenti iscritti a Facebook: la richiesta viene inviata tramite e-mail o fax, la risposta arriva dopo due settimane sotto forma di posta elettronica o, qualora i dati fossero parecchi, di CD-ROM in cui sono contenute tutte le informazioni relative ad un dato utente, compreso l’ID numerico.

Jpg+FileBinder, nascondere file all’interno di immagini

Tra noi geek si nasconde di certo qualcuno che ha la mania per la riservatezza, per il non voler mostrare le nostre cose ad altre persone. Non mi sto riferendo per l’ennesima volta alla fuga di informazioni causata da facebook, ma semplicemente al fatto che chi condivide con noi il computer potrebbe entrare senza problemi all’interno delle nostre cartelle, aprirle e vedere cosa c’è.

Magari non c’è nulla di strano o di seriamente importante, ma il solo pensiero che qualcuno possa trovare un nostro file non ci fa dormire la notte. Per questo è ipotizzabile la creazione di cartelle protette da password, o altri sistemi, ma se qualcuno vuole vedere le nostre cose ci riuscirà (basta qualche ricerca su internet e si trovano centinaia di guide).

Discussione: Internet e la Privacy!

Oggi è domenica, ed essendo questo un giorno diverso dagli altri spesso ci capita di fare cose diverse da quelle che facciamo gli altri giorni. Una piccola parentesi del genere può essere fatta, perché no, anche su Geekissimo.

Geekissimo non è solo e per forza presentazione di guide, servizi e notizie concernenti l’ambito informatico, ma vuole essere qualcosa di più, vuole mirare e centrare quelli che sono obiettivi più impegnativi e più riflessivi. Vuole pensare e far pensare e non solo recensire. E tutto ciò, chiaramente, sempre su discorsi il più possibile vicini alla trattazione di argomenti correlati ai computer, e ad internet in genere.

Sentiamo molto spesso parlare di privacy, il diritto alla riservatezza delle informazioni personali, e spesso, giustamente, la pretendiamo. Ma sorge spontanea una domanda: non è che una volta connessi ad Internet tutta la nostra attenzione verso la privacy vada scemando?

Il dubbio, si sa, è lecito.. Motori di ricerca ai quali forniamo informazioni su molte delle cose che ci passano per la testa e che ricerchiamo per esigenze nostre, siti ai quali riveliamo spesso le nostre generalità, le nostre facce, le nostre abitudini, forum con i quali piano piano cominciamo a prendere confidenza andando così a minare la nostra riservatezza spesso utilizzandoli addirittura per confidarci, per chiedere aiuto morale o a volte semplicemente per raccontarci. Non è che ci scappa un po’ troppo?

Se tutto filasse liscio ed ognuno si facesse i fatti propri senza andare a sindacare in quelle che sono le questioni altrui il tutto sarebbe anche accettabile. Ma chi ci dice che le nostre informazioni non possano essere utilizzate per fini poco leciti o quantomeno ledenti la nostra privacy? Purtroppo nessuno!

La home-page di Google è illegale?

GooglePrivacy

Guai giudiziari per Google, accusata di violare le leggi californiane a causa della sua riluttanza ad inserire direttamente nella home page un link alla pagina della politica sulla privacy. “A Google è stato chiesto di inserire la parola privacy, una parola di sole sette lettere, accanto agli altri link che portano alle pagine di informazioni sulla ricerca e sulla società. Una parola piccola che però nel mondo della privacy è molto importante”, ha spiegato Beth Givens della Privacy Rights Clearinghouse.

Tutto è partito da una segnalazione proveniente da alcuni blog del New York Times, secondo cui Google non si sarebbe adeguata all’Online Privacy Protection Act del 2003 (la legge californiana sulla privacy, per intenderci): la legge prevede che ogni sito che abbia dietro un’attività commerciale e raccolga informazioni private degli utenti debba segnalare bene in vista nella propria home page un link alla propria pagina che spiega la politica dell’azienda nei confronti della privacy.

“Gli indirizzi Ip devono essere considerati dei dati personali”. Parola del commissario europeo

Indirizzi_Ip

Gli indirizzi Ip, le classiche stringhe di numeri del tipo 194.20.345.233 (ho scritto un indirizzo a caso) che identificano i computer sulla rete, dovrebbero essere considerati alla stregua dei dati personali (un po’ come l’indirizzo o il numero di telefono). A stabilirlo l’ufficio della Commissione Europea che regola la riservatezza dei dati. La decisione arriva dopo le pressioni del commissario tedesco per la protezione dei dati personali, Peter Scharr, che guida una battaglia a livello europeo contro le ripetute e immotivate violazioni della privacy da parte di colossi come Google, Yahoo! e Microsoft. Secondo Scharr, quando una persona è identificata attraverso un indirizzo Ip, allora quell’indirizzo è come un numero di telefono e dev’essere trattato con riservatezza.

Una visione che, però, è in disaccordo con quella di Google ed altre società che lavorano nel campo dell’informatica, secondo cui un indirizzo Ip, invece, identificherebbe la macchina, il computer quindi, e non la persona che lo sta utilizzando. Un’obiezione sicuramente giusta. Peccato, però, che nella normalità dei casi un computer è usato prevalentemente dalla stessa persona o dallo stesso gruppo ristretto di persone. Certo, ci sono delle eccezioni come ad esempio gli internet café, le università, i luoghi di lavoro molto affollati. Ma sono, appunto, delle eccezioni.