Dopo un’intera giornata di alti e bassi GMail è definitivamente caduto intorno le 22 ora italiana. Già altre due volte nell’ultimo anno è accaduto e la reazione è sempre la stessa, panico.
Sulla rete sono istantaneamente comparsi post sui blog più letti della blogosfera oltre a decine di migliaia di tweets, dai più deliranti ai più sobri che null’altro che facevano che comunicare al mondo intero la propria frustrazione. In questi casi inevitabilmente ci si ritrova a pensare a quanto Google sia fondamentale nelle nostre vite.
Probabilmente possiamo cambiare numero di telefono senza necessariamente aggiornare tutte le nostre centinaia di contatti, ma il nostro indirizzo email è il punto fisso, ancora il cuore pulsante della nostra attività in rete. Senza quell’indirizzo niente recovery password, niente nuove registrazioni, comunicazioni urgenti o meno che siano, insomma, nonostante esistano svariate decine di metodi alternativi per comunicare, il down di GMail per milioni di utenti significa black out delle comunicazioni.
Tralasciando questa discussione della quale la rete è più che satura, concentriamoci un attimo sull’aspetto real time della comunicazione. Di istinto la prima cosa che si fa el momento in cui si cercano informazioni su un evento del genere, accaduto da pochi minuti se non secondi è di effettuare una ricerca su Twitter.
Twitter come sappiamo si è abbondantemente affermato come piattaforma di condivisione real-time preferita dagli utenti, e casi come questo lo dimostrano. Mentre si legge il primo tweet restituitoci dalla nostra ricerca l’occhio inevitabilmente cade sulla linea che ci informa dei nuovi tweet corrispondenti alla parola chiave cercata. Dopo qualche secondo un numero a 4 cifre, dopo poco più di un minuto 5.
Servizi come Twitscoop che mostrano una tagcloud in tempo reale delle parole chiave più buzzate su Twitter vengono completamente dominati da una singola parola chiave. Chi è avvezzo a questo servizio sa bene che la tagcloud è genericamente variegata ed in continuo cambiamento. Chi la sta osservando come me in questo momento non ha potuto fare a meno di notare che è praticamente immobile, con un centinaio o poco meno di parole minuscole, fra le quali unable, accessing, igoogle, imap, server, error etc. ed una singola, enorme parola chiave: gmail.
Dopo qualche minuto la tagcloud ricomincia a muoversi portando su l’hashtag #gmail, cosa che dovrebbe far riflettere i Search Engine Analyst che da mesi si scervellano per comprendere l’andamento delle parole chiave sui servizi di real-time sharing e sulla validità o meno delle hashtag. A circa 30 minuti dal down la tagcloud continua ad essere ferma, ma chi con un po’ di ossessione ha letto i vari messaggi twitter, sapeva che nel giro di pochi minuti altre due parole chiave avrebbero incominciato a salire nella nuvola.
Le parole in questione sono igoogle e imap, GMail infatti è down solo attraverso l’indirizzo principale, mentre accedendo attraverso iGoogle o iMap è perfettamente funzionante. Qualche altro minuto ancora e igoogle sovrasta sulla parola imap, il quale tra le altre, utilizza un’interfaccia imap per il gadget di GMail.
Ricapitolando, con l’esplodere del panico la tagcloud è stata dominata interamente da una sola parola chiave GMail, seguita solo in seguito dal suo hashtag. Circa 20 minuti dopo le parole chiave che sono spiccate erano legate alla soluzione del problema, imap e igoogle; un altro po’ di stasi nella nuvola e questa ha incominciato a variegarsi con altre parole più generiche, google, mail, server, il che si spiega con l’approfondirsi della discussione intorno ad un tema.
A più di un’ora dal down Google ancora non rilascia comunicati in merito, e la rete incomincia a calmarsi, in parte anestetizzata di iGoogle, in parte perché “l’euforia” iniziale si è spenta, molti saranno tornati al lavoro tramite iGoogle, altri forse ne stanno approfittando per guardare fuori dalla finestra. Ci sentiamo di condividere il tweet di darrenwaters: “it’s official, when gmail is down the internet stops”, o per lo meno “l’internet” real-time, ancora dominato dalla stessa parola chiave, equiparata ormai da igoogle.
Intorno le 23:17 ora italiana GMail ha ripreso a funzionare regolarmente e su Twitter sono in pochi coloro che lo hanno comunicato rispetto quanti avevano twittato all’allarme. Probabilmente tutti sono nella loro amata casella di posta o ad asciugarsi il sudore dalla fronte.
Abbiamo seguito il down dei server di GMail in diretta per voi tramite Twitter, tirando conclusioni affrettate e scherzose, ma con qualche punta di verità nelle nostre parole. Sarebbe bello sapere la vostra in merito, come interpretereste l’andamento di queste parole chiave, come il panico che può scatenare qualche ora di difficoltà di quello che in definitiva, è un servizio di posta elettronica.
#1Alessandro
Caso lampande di come i servizi Internet sono ben lontani nell’essere affidabili.
Alla faccia del cloud computing !
Altro particolare non di poco conto: google ha veramente monopolizzato la vita di tutti noi! Peccato perchè di alternative ce ne sono in giro ma mai utilizzate perchè poco sponsorizzate o troppo poco competitive… Se questo non è monopolio di google, spiegatemi voi che cos’è!
#2Paolo
Bell’articolo, complimenti. E’ da tempo che su geekissimo non leggevo qualcosa del genere.
#3Luca
Boh, io in ufficio usavo una gestione della posta tramite server interno, poi da qualche mese siamo passati a Google Apps. Se faccio un confronto, con Google no avuto molti meno disagi rispetto al passato e di questi down negli ultimi mesi non mi sono neppure accorto.
Idem per la posta personale, problemi con Gmail non ne ho avuti praticamente mai, diversamente che con altri.
Semplicemente, quando è giù Google tutti sono all’erta.
#4@nonimo
@ Alessandro:
Io più che altro rifletto su come farà Google quando lancierà Chrome OS…
E se capiterà lo stesso con gli hard disk online?
#5Cheope
@Alessandro
Nessuno è perfetto e soprattutto nessuno pretende che un servizio gratuito lo sia. Come ho già detto più volte, solo chi paga i servizi Google ha il diritto di lamentarsi.
Parli come se non fosse possibile che un bel giorno sia il tuo hard disk a non dare segni di vita. Evidentemente non hai mai avuto il piacere di accendere il pc, magari proprio quando devi terminare un lavoro molto importante, e non vedere niente. Smontare l’hd, rimontarlo in un altro computer e scoprire che… l’hd ti si è fuso irrimediabilmente.
Se succedesse cosa faresti? Cominceresti a smadonnare maledicendo il giorno in cui hai comprato quel computer e poi tireresti fuori i tuoi backup. Non hai fatto il backup? Peggio per te.
Se succedesse a Chrome OS cosa faresti? Cominceresti a smadonnare uguale maledicendo il giorno in cui ti sei affidato a Google e poi tireresti fuori i tuoi backup per lavorare off-line.
Non hai fatto il backup? In tal caso solo Google tornando online ti può salvare…
#6Alessandro
@ @nonimo:
è la stessa cosa che ho detto nel mio post precedente 🙂
#7Silver
Mah, secondo me per 100 minuti di no-mail non muore nessuno…
Sarebbe interessante confrontare le cifre di chi non se ne è minimamente accorto. (si, sono uno di loro…)
#8Cheope
Scusa Alessandro. Intendevo rivolgermi direttamente ad @nonimo.
#9Gian Piero Biancoli
Sembra proprio che il blackout di Gmail sia servito più che altro, a stilare una lista di probabili persone affette da Internet addiction.
Se un’ora di blackout di posta elettronica (che peraltro potrà dipendere anche da rotture HW, o problemi di linea, assenza di campo, ecc… ) getta una persona nel panico, occorre risolvere la questione prima sulla persona e poi sul server o programma che sia.
Sulla quesione monopolio, IMHO, Google non si impone certo come fa Microsoft con i preinstallati sui PC (anche se SONY sta cominciando), per cui si è liberi o meno di sceglierla come motore di ricerca, account email, office suite, chat, piattaforma blog, browser, S.O., ecc…
Esistono numerose alternative: Yahoo, Bing, Msn, Skype, OpenOffice, WordPress, Firefox, Ubuntu, ecc… chi pensa siano meglio (e alcune lo sono!!) le usi.
Salutoni
#10Fulvio Minichini
@ Gian Piero Biancoli:
A dire il vero il blackout di GMail è avvenuto nel pieno delle ore d’ufficio nei paesi con il maggiorn numero di connessioni al mondo.
Anche se in Italia ancora non è tanto diffuso, il numero di persone che lavorano dalle proprie abitazioni, o in ogni caso senza una sede stanziale è in continuo aumento.
Per dirla in parole povere, se è vero che molto del flusso di lavoro online passa per l’email e se è vero che il tempo è denaro, ogni minuto perso a causa del down moltiplicato il numero degli utenti che ne è stato vittima, sono soldi persi più che una mania.