Google intesa antitrust europa

Google brevetta l’algoritmo per il riconoscimento degli oggetti nei video

Google algoritmo riconoscimento degli oggetti nei video

Stando a quanto emerso proprio nel corso delle ultime ore Google avrebbe depositato un brevetto per la tutela legale di un nuovo ed interessantissimo algoritmo identificabile con il nome di Automatic large scale video object recognition, ovvero riconoscimento automatico su larga scala di oggetti video.

Big G, quindi, sembrerebbe proprio essere intenzionata a produrre una tecnologia che sia in grado di riconoscere gli oggetti presenti e visualizzati all’interno dei filmati riprodotti.

Questo, in altri termini, sta quindi a significare che se in un video, ad esempio, dovesse essere mostrata un’opera d’arte l’algoritmo entrerà in azione provvedendo ad aggiungere, in maniera completamente automatica, il relativo tag al filmato riprodotto.

L’impiego dell’algoritmo in questione potrebbe quindi semplificare, velocizzare ed anche rivoluzionare l’esecuzione delle ricerche da parte degli utenti.

Brevetto occhiali Apple

Apple sfiderà gli occhiali per la realtà aumentata di Google?

Brevetto occhiali Apple

Gli occhiali per la realtà aumentata di Google sono stati presentati ufficialmente in occasione del Google I/O 2012 e pur trattandosi ancora di un prototipo possono già essere acquistati, al “modico” costo di 1.500 dollari, da eventuali sviluppatori interessati.

Nonostante big G sia stata la prima a proporre realmente un prodotto di questo tipo Apple, però, potrebbe decidere di rispondere al progetto Google Glass.

Stando a quanto emerso nel corso delle ultime ore risulta infatti che il 13 ottobre del 2006 Cupertino depositò domanda per un brevetto per un dispositivo di elaborazione indossabile mediante cui proiettare l’immagine su un apposito apparecchio di visualizzazione pensato, appunto, per essere applicato direttamente sul capo proiettando direttamente dinanzi agli occhi dell’utente le immagini.

Patent troll studio università Boston

Patent troll: negli USA costa 29 miliardi di dollari all’anno

Patent troll studio università Boston

Sul fatto che il “patent trolling” fosse fastidioso ed insidioso vi erano ben pochi dubbi, così come anche che fosse particolarmente dispendioso per il sistema e per le aziende ma che costasse anche agli altri operatori del settore restava, sino a qualche ora addietro, soltanto una supposizione confermata adesso dal recente studio condotto dall’Università di Boston che ha interessato un totale di 82 hardware e software vendor.

Innanzitutto, per chi non lo sapesse, con il termine “patent troll” si è soliti indicare, con connotazione negativa, una società che acquista licenze e brevetti ma che non li impiega per offrire servizi o, ancora, per la produzione di beni senza quindi contribuire al processo di ricerca e sviluppo così come le altre società, università o enti.

Ora, tenendo conto di ciò, stando a quanto emerso dallo studio condotto dall’Università di Boston le denunce di patent troll avrebbero coinvolto, almeno sino a questo momento, ben 2.150 differenti aziende per un totale di più di 5.800 processi.

Musica digitale: Neil Young vuole progettare un nuovo e rivoluzionario formato di file

Neil Young nuovo formato musica digitale

Per Neil Young, la celebre rockstar canadese, il mondo della musica ha bisogno di essere rivoluzionato e per farlo cercherà di offrire a tutti gli appassionati alle sette note ed alla tecnologia un nuovo formato digitale di qualità superiore rispetto a tutto quanto reso disponibile sino a questo momento dai formati di compressione maggiormente diffusi, specie quelli impiegati dagli store online.

Alla base dell’ambizioso progetto sembrerebbe poi esserci Pono, ovvero un sistema per la creazione di file musicali recentemente annunciato basato su un insieme di librerie e su un legame al mondo in the cloud mediante cui ottimizzare la qualità dell’audio senza però andare ad incidere sulla spinosa questione del peso complessivo di ogni file.

Apple, respinta la registrazione del marchio multi-touch

Respinta la richiesta da parte di Apple di registrare il marchio multi-touch

La notizia è proprio delle ultime ore e dopo un periodo di attesa definibile come tutt’altro che breve Apple ha finalmente ottenuto una risposta circa la richiesta di registrare il marchio “multi-touch”: l’Ufficio marchi e brevetti statunitense (USPTO) ha respinto ha respinto la richiesta di Cupertino.

L’USPTO, infatti, ha dichiarato che i termini utilizzati per descrivere la funzionalità degli schermi tattili dei device Apple risultano essere troppo generici poiché, allo stato attuale delle cose, ampiamente diffusa anche tra le svariate offerte della concorrenza risultando quindi tutt’altro che una tecnologia distintiva della ben nota azienda della mela morsicata così come, invece, lo è stato inizialmente e per un breve periodo di tempo.

Il multi-touch, quindi, come sentenziato dall’Ufficio marchi e brevetti USA, oltre che essere legato ai device Apple e, nello specifico, all’iPhone, risulta utilizzabile senza alcun problema anche in riferimento ad altri smartphone ma anche ad ulteriori dispositivi dotati di schermo tattile come nel caso di tablet e computer.

I doodles di Google sono ora protetti da brevetto

Capita spesso, utilizzando Google come strumento per eseguire le proprie ricerche online, di imbattersi negli oramai celebri doodles, vale a dire i simpatici “scarabocchi” realizzati dal gran colosso di Mountain View applicati, in corrispondenza di specifiche ricorrenze, in sostituzione al logo effettivo della società e di cui, spesso e volentieri, abbiamo avuto modo di parlare qui su Geekissimo.

I doodles, generalmente tanto fantasiosi quanto, al tempo stesso, accattivanti, d’ora in poi, però, non saranno più dei semplici “scarabocchi”, così come sopra citato, ma bensì delle vere e proprie creazioni corredate da brevetto!

Infatti, dopo un’attesa durata circa 10 anni, Google ha finalmente ottenuto il brevetto 7,912,915 per i suoi doodles che è stato depositato questo Martedi presso l’USPTO.

Un giudice costringe Facebook a rilasciare il proprio codice sorgente

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La notizia sembra irreale, ma ha tutte le caratteristiche per rappresentare, al contrario, una storia vera che si sta svolgendo in queste ore in Delaware, piccolissimo stato americano sulla costa atlantica. Un giudice di questo stato ha ordinato a Facebook di rilasciare una copia dell’intero codice sorgente a Leader Technologies Inc., un’azienda sviluppatrice di una piattaforma web-based per la collaborazione di utenti online.

Leader Technologies, in attività dal 1997, è proprietaria di un brevetto registrato il 21 Novembre 2006 relativo alla gestione e alla memorizzazione di informazioni in formato elettronico e ha citato in giudizio Facebook lo scorso Novembre 2008. Il brevetto può essere letto sul web attraverso questo link.

Bufera per Google, Apple e Microsoft

Pare proprio che l’anno finisca maluccio per le grandi dell’IT, Google, Apple e Microsoft infatti sono state chiamate in causa in per una presunta violazione di copyright. La denuncia, fatta dalla Cignus Systems, è relativa la violazione di un brevetto intitolato “Sistema e metodo di gestione per ambiente software a icone” che a detta dell’azienda riguarderebbe i metodi di visualizzazione anteprima dei file.

In poche parole i software di Google, Apple e Microsoft che contengano al loro interno funzioni di anteprima del contenuto di file o cartelle sarebbero illegali perché, a detta della Cignus Systems, sarebbero stati copiati dal loro brevetto. Una bella grana!