SOPA italiano, bocciata la proposta Fava

Anche se con un certo ritardo rispetto ai tempi previsti inizialmente, la Camera ha discusso il cosiddetto SOPA italiano, l’emendamento firmato dall’Onorevole Fava (Lega Nord) secondo il quale i provider italiani avrebbero dovuto oscurare i siti Internet responsabili di pirateria o altri reati in seguito a una semplice segnalazione da parte delle “parti lese”, senza passare per il giudizio di un giudice o di altre autorità.

Per fortuna, il buonsenso ha prevalso e l’Aula ha cestinato la norma grazie a sei emendamenti soppressivi presentati da forze politiche trasversali, come IDV, PD, PDL, FLI, API ed UDC, che hanno ricevuto 365 voti a favore, 57 contrari e 14 astensioni eliminando completamente il controverso articolo 18 della legge comunitaria nel quale era contenuta la proposta Fava.

Come bypassare la censura di Twitter

La notizia che Twitter censurerà i messaggi per i quali le autorità legali richiederanno l’oscuramento ha colpito la sensibilità di molti internauti, che in questi giorni stanno già lottando con i propri nervi a causa delle leggi bavaglio contro Internet e dalla chiusura di Megaupload. Forse però il quadro di Twitter non è così nero come lo si vuole dipingere.

Premesso che ogni forma di censura, anche quella meno invasiva, è da deprecare, Twitter non sta facendo altro che adeguarsi ad un comportamento comune a tutte le grandi aziende che vogliono fare affari in varie parti del mondo. Basti pensare a Google che, prima delle note vicende, accettava di buon grado e con il capo chino la censura cinese pur di entrare in un mercato succulento come quello del Paese della Grande Muraglia.

Digressioni sulle multinazionali parte (le ha fatte molto meglio del sottoscritto Luca Conti), pare ci sia un modo molto semplice per bypassare la censura di Twitter. Basterebbe, difatti, cambiare il Paese nelle impostazioni del proprio account e i tweet censurati tornerebbero visibili.

I Paesi europei aderiscono all’ACTA: dopo SOPA e PIPA la libertà su Internet torna a rischio

Scongiurati, almeno per il momento, i pericoli rappresentati da SOPA e PIPA, da Tokyo arriva un’altra brutta notizia che allunga una seria ombra sulle prospettive della libertà in Rete. Adeguandosi a quanto fatto da Stati Uniti, Giappone, Australia ed altri Paesi lo scorso ottobre, tutte le principali nazioni dell’Unione Europea hanno firmato la loro adesione all’ACTA, la nuova normativa internazionale contro la contraffazione e la pirateria che, secondo l’opinione di moltissime persone, con il pretesto di ostacolare la contraffazione di medicinali, oggetti di marca, ecc. tenterà di mettere il bavaglio alla Rete oscurando i siti ritenuti responsabili di violazioni del diritto d’autore o di “agevolazione della pirateria” (link?).

L’ Anti-Counterfeiting Trade Agreement (questo il nome completo dell’accordo firmato ieri) è stato presentato inizialmente nel 2007 e discusso a “porte chiuse”, senza confronto democratico con parlamenti nazionali o altre parti in causa, fino ad oggi. Al momento manca solo la firma di Germania, Paesi Bassi ed altri tre Paesi dell’UE ma ormai tutte le nazioni più sviluppate hanno aderito a questa normativa che, di fatto, scavalcherà le leggi delle singole nazioni per imporre una stretta alla pirateria su scala globale. Per fortuna, però, non tutto è perduto. Almeno per quanto riguarda l’Europa.

SOPA fermato in USA, ma in Italia spunta una legge simile


Dopo il Blackout di protesta sul Web, che ha visto molti importanti siti auto-oscurarsi per protesta, i promotori del SOPA e del PIPA hanno fatto marcia indietro: uno dei due disegni di legge – il SOPA – è stato mandato al macero e sarà riscritto totalmente, l’altro – il PIPA – è stato messo in freeze. Ora però i timori si spostano dagli USA al nostro Paese, dove spunta una nuova legge che minaccia di far piombare ombre censorie sulla rete Internet italiana.

Come riporta il sito Internet IlSoftware, la Commissione Politiche Comunitarie ha dato il suo OK ad un emendamento presentato dall’Onorevole Fava (Lega Nord) che imporrebbe la solita, sciocca regola secondo la quale i provider dovrebbero oscurare i siti ritenuti colpevoli di violazione di copyright in base, non a provvedimenti delle Autorità preposte, ma a semplici segnalazioni ricevute dalle parti lese (o presunte tali).

SOPA e PIPA: dopo il Blackout di protesta sul Web, i promotori delle leggi fanno marcia indietro

Il Blackout Day del Web che ieri ha visto siti come Wikipedia, Reddit, Google e WordPress oscurati o listati a lutto ha sortito gli effetti sperati. Otto dei politici americani (sei Repubblicani e due Democratici) che fino a ieri supportavano il SOPA e il PIPA hanno fatto marcia indietro annunciando di non voler più appoggiare l’approvazione dei due disegni di legge che, di fatto, avrebbero censurato il Web e messo il bavaglio non solo ai siti giudicati colpevoli di violazione del diritto d’autore (oscurandoli a mezzo DNS) ma anche a siti terzi, motori di ricerca e servizi Web che avessero segnalato anche solo l’esistenza dei “siti pirati”.

A cambiare idea sono stati Orrin Hatch, Ben Cardin, Ben Quayle, Lee Terry, Dennis Ross, Tim Holden e, soprattutto, due dei principali promotori dello Stop Online Piracy Act e del Protect IP Act: Marco Rubio e Roy Blunt. Quest’ultimo, come riportato da Paolo Attivissimo sul suo blog, è stato pizzicato da Vice.com ad usare immagini senza permesso sul suo sito Internet: se fossero entrate in vigore le norme imposte da SOPA e PIPA, anche il suo sito sarebbe stato da oscurare, così come quelli di altri politici USA che avevano annunciato il loro sostegno alle nuove leggi anti-pirateria.

Blackout Day contro il SOPA: aderiscono alla protesta Wikipedia, Google, Mozilla, Microsoft e altri 7.000 siti Web


Nonostante lo stop preventivo della Casa Bianca e il rinvio della discussione sul SOPA al Congresso USA, le misure anti-pirateria allo studio dei politici americani rimangono un pericolo per la libertà della Rete: potrebbero conferire alle major del cinema e della musica il potere di oscurare siti ritenuti violatori di copyright, forzare i motori di ricerca a “tagliarli” e costringere siti che linkano altri siti accusati di pirateria a chiudere. Per questo non è stata annullata, ed anzi ha registrato nuove pesanti adesioni, la giornata di blackout contro SOPA e PIPA che diversi siti avevano programmato per oggi.

Fra i siti più importanti che partecipano alla protesta: Wikipedia che nella sua versione inglese resterà oscurata per 24 ore (un po’ come accadde da noi lo scorso ottobre per la legge ammazza-blog) mentre in Italia, almeno per il momento, mostra solo un banner informativo; il sito di social news Reddit; Google che sebbene abbia rinunciato al blackout presenta un messaggio in home page ed ha creato un’apposita pagina per spiegare al pubblico i rischi delle leggi anti-pirateria allo studio negli USA; la versione anglofona di WordPress.org; Mozilla e altri 7.000 siti Internet più o meno popolari.

SOPA: la legge ammazza-Internet made in USA si blocca, ma Wikipedia annuncia l’oscuramento di protesta


In tutto il mondo si sta facendo ancora un gran parlare del SOPA (Stop Online Piracy Act), la controversa legge in discussione presso la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti che potrebbe conferire alle autorità americane il potere di oscurare i siti ritenuti responsabili di pirateria audiovisiva. La norma è stata aspramente criticata da cittadini, organizzazioni e grandi nomi della Rete, come Google e Facebook, ma il suo percorso di approvazione non sembra averne risentito. Almeno fino a ieri, quando c’è stato il colpo di scena che in molti aspettavano.

In seguito a un comunicato ufficiale della Casa Bianca con il quale l’amministrazione Obama ha annunciato il suo no preventivo a “leggi che riducono la libertà di espressione, aumentano i rischi relativi alla cyber-sicurezza o minano il dinamismo e l’innovazione di Internet a livello mondiale“, uno dei principali promotori del SOPA, il Repubblicano Eric Cantor, ha fatto sapere di voler bloccare la discussione sul disegno di legge fin quando non si raggiungerà un consenso più ampio sulle norme da adottare. Ma non è tutto bene quel che finisce bene.

Sgarbi vuole far sequestrare Wikipedia (?)


Dopo il fortunatamente estinto decreto Romani e i presunti tentativi di Berlusconi di censurare Internet per favorire Mediaset, un altro politico (o politicante) italiano sferra il suo attacco contro la Rete e la sua libertà. Eccessiva e irritante, per alcuni.

Stiamo parlando di Vittorio Sgarbi, il noto esperto d’arte infervorato su commissione, che ha approfittato ancora una volta dei (troppi) riflettori puntati su di sé per spararne una grossa: ha minacciato di far sequestrare Wikipedia a causa di alcune inesattezze che sarebbero state scritte sul suo conto.

Wikileaks, nuove rivelazioni sul caso Google-Cina


Mentre continuano a rincorrersi le voci sul destino del suo fondatore, Julian Assange (che è ancora ricercato da mezzo mondo), il redivivo Wikileaks ha pubblicato nuove interessanti indiscrezioni sul caso Google-Cina.

Un nuovo cablogramma “trafugato” dall’ambasciata americana a Pechino confermerebbe la responsabilità del governo cinese dietro gli attacchi hacker a Google dell’anno scorso, affidando un ruolo centrale nella loro ideazione a Li Changchun, sessantaseienne propagandista del regime di Hu Jintao che si sarebbe detto scandalizzato dagli articoli critici verso di lui rintracciati tramite Google.cn.

Wikileaks: governo cinese dietro attacchi hacker a Google

Oltre a sputtanare i leader politici di mezzo mondo, i rapporti segreti pubblicati ieri da Wikileaks hanno messo in luce le opinioni delle autorità americane sugli attacchi hacker ricevuti da Google in Cina.

Secondo quanto riportato dal sito di Julian Assange, alcuni contatti dell’ambasciata americana a Pechino avrebbero affermato che “L’hackeraggio di Google è stato parte di una campagna per il sabotaggio dei computer organizzata da funzionari, esperti di sicurezza e criminali informatici reclutati dal governo cinese”.

Con queste parole si confermerebbe, dunque, la responsabilità del regime di Hu Jintao nelle intrusioni che hanno preso di mira non solo gli account Gmail di alcuni dissidenti, ma anche i sistemi informatici di diverse aziende americane, il Dalai Lama e molti alleati degli USA. Sin dal 2002, pare.

Apple è il pericolo numero uno per la libertà di Internet, parola di Tim Wu

Tim Wu, il professore della Columbia Law School noto per aver reso popolare il concetto di net neutrality, ha rilasciato una lunga intervista al New York Times in cui – presentando il suo nuovo libro “The Master Switch: The Rise and Fall of Information Empires” – ha parlato di tutte quelle grandi aziende che oggi metterebbero a rischio la libertà della Rete. La più pericolosa di tutte? Apple.

Per l’accademico americano, Steve Jobs e il suo gruppo sono destinati a soffrire della malattia che colpisce tutti i monopolisti del mondo capitalista: “La maggior parte dei monopolisti crea un’era dell’oro che dura per dieci anni o più, ma poi – avverte Wu – cominciano ad essere interessati a una sola cosa: il potere”.

Per fare un esempio pratico di questo paradigma, il professore della Columbia Law School ha parlato di AT&T che “diventò pericolosa quando cominciò a sopprimere le tecnologie che potevano intralciare i suoi interessi”.

Google lascia la Cina, o quasi

Le indiscrezioni trapelate la settimana scorsa si sono rivelate veritiere. Ieri Google ha mosso il primo vero passo verso l’abbandono della Cina, ma attenzione a pensare che il colosso di Mountain View abbia staccato la spina al suo motore di ricerca “.cn” e abbia girato i tacchi in quattro e quattr’otto, perché non è così.

Provando a visitare Google.cn, da ieri si viene reindirizzati su Google.com.hk. Questo vuol dire che “big G” ha deciso di dirottare i suoi utenti cinesi verso il suo motore di ricerca di Hong Kong, che è libero dai filtri e censure. Inoltre, Google ha precisato che “continuerà a svolgere attività di ricerca e sviluppo in Cina e manterrà il suo ufficio commerciale in loco”.

Google ci ripensa ancora, al 99.9% via dalla Cina

Proprio come volevasi dimostrare, la telenovela relativa allo scontro tra Google e Governo cinese è tutt’altro che finita. E così, dopo che la situazione sembrava essersi stabilizzata, ecco ripiombare il gelo tra le due parti con il colosso di Mountain View nuovamente pronto a chiudere la versione cinese del suo motore di ricerca.

A comunicare la notizia è l’autorevolissimo Financial Times, secondo cui Sergey Brin e soci non avrebbero digerito le ultime minacce provenienti dalle autorità di Pechino (se non applicherete le censure su Google.cn, ne pagherete le conseguenze) e sarebbero pronti al 99.9% a chiudere la versione cinese di Google.

Google condannata in Italia. Gli USA: è censura

Il tribunale di Milano ha sentenziato. I dirigenti di Google David Carl Drummond, George De Los Reyes e Peter Fleischer devono scontare una pena di sei mesi di reclusione con la condizionale. La colpa di cui si sono macchiati? Non aver impedito a quattro imbecilli di pubblicare un filmato in cui malmenavano un ragazzo affetto da autismo su Google Video.

Il deprecabile episodio, lo ricorderete benissimo, si verificò nella seconda metà del 2006 e vide come protagonisti alcuni studenti di un istituto tecnico torinese, i quali prima malmenarono un loro compagno disabile, filmando l’accaduto, e poi provvidero a pubblicare le loro “gesta” sul Web.

Come riportato da tutti i più importanti organi di informazione italiani, si tratta della prima sentenza del genere a livello internazionale. Una cosa di cui non andar troppo fieri, a nostro avviso, sintomo che qualcuno non ha ancora capito che monitorare in tempo reale un flusso di video come quello ricevuto quotidianamente da YouTube è praticamente impossibile.