Google lascia la Cina, o quasi

Le indiscrezioni trapelate la settimana scorsa si sono rivelate veritiere. Ieri Google ha mosso il primo vero passo verso l’abbandono della Cina, ma attenzione a pensare che il colosso di Mountain View abbia staccato la spina al suo motore di ricerca “.cn” e abbia girato i tacchi in quattro e quattr’otto, perché non è così.

Provando a visitare Google.cn, da ieri si viene reindirizzati su Google.com.hk. Questo vuol dire che “big G” ha deciso di dirottare i suoi utenti cinesi verso il suo motore di ricerca di Hong Kong, che è libero dai filtri e censure. Inoltre, Google ha precisato che “continuerà a svolgere attività di ricerca e sviluppo in Cina e manterrà il suo ufficio commerciale in loco”.

Google ci ripensa ancora, al 99.9% via dalla Cina

Proprio come volevasi dimostrare, la telenovela relativa allo scontro tra Google e Governo cinese è tutt’altro che finita. E così, dopo che la situazione sembrava essersi stabilizzata, ecco ripiombare il gelo tra le due parti con il colosso di Mountain View nuovamente pronto a chiudere la versione cinese del suo motore di ricerca.

A comunicare la notizia è l’autorevolissimo Financial Times, secondo cui Sergey Brin e soci non avrebbero digerito le ultime minacce provenienti dalle autorità di Pechino (se non applicherete le censure su Google.cn, ne pagherete le conseguenze) e sarebbero pronti al 99.9% a chiudere la versione cinese di Google.

Google condannata in Italia. Gli USA: è censura

Il tribunale di Milano ha sentenziato. I dirigenti di Google David Carl Drummond, George De Los Reyes e Peter Fleischer devono scontare una pena di sei mesi di reclusione con la condizionale. La colpa di cui si sono macchiati? Non aver impedito a quattro imbecilli di pubblicare un filmato in cui malmenavano un ragazzo affetto da autismo su Google Video.

Il deprecabile episodio, lo ricorderete benissimo, si verificò nella seconda metà del 2006 e vide come protagonisti alcuni studenti di un istituto tecnico torinese, i quali prima malmenarono un loro compagno disabile, filmando l’accaduto, e poi provvidero a pubblicare le loro “gesta” sul Web.

Come riportato da tutti i più importanti organi di informazione italiani, si tratta della prima sentenza del genere a livello internazionale. Una cosa di cui non andar troppo fieri, a nostro avviso, sintomo che qualcuno non ha ancora capito che monitorare in tempo reale un flusso di video come quello ricevuto quotidianamente da YouTube è praticamente impossibile.

Google ci ripensa, resta in Cina e riapplica la censura

I tanti cinesi che, in segno di protesta, avevano deposto dei fiori davanti agli uffici di Google possono tirare un sospiro di sollievo. I rapporti tra il colosso di Mountain View e il governo di Pechino stanno per tornare idilliaci come un tempo. Tutto all’insegna della censura, ovviamente.

Il clamore delle scorse settimane, l’incidente diplomatico sfiorato tra USA e Cina, tutto finito sotto il tappeto. È brutto da dire, ma i sogni di libertà di miliardi di persone sono destinati ad infrangersi contro un patetico disclaimer visualizzato sulle pagine di Google.cn (According to local laws, regulations and policies, some search results are not shown) e contro la solita montagna di bigliettoni verdi in ballo.

Queste le dichiarazioni di Sergey Brin, uno dei fondatori di ‘big G’, sull’argomento: «Siamo stati in grado di censurare sempre meno ed ora avvertiamo gli utenti quando le leggi locali ci impediscono di fornire loro l’accesso a determinate informazioni». E non è finita qui.

Google, adesso la Cina vuole oscurarlo e creare una Internet tutta sua

Come facilmente immaginabile, quello che è nato come uno scontro fra Google e regime cinese si è presto trasformato in braccio di ferro diplomatico fra Stati Uniti e Cina.

A seguito del recente discorso del Segretario di Stato USA Hillary Clinton, che non ha esitato ad annunciare “conseguenze e condanna internazionale” nei confronti di “Paesi o individui che mettono in atto attacchi informatici”, e dell’inserimento della Cina nella lista dei “Paesi canaglia” del Web, Pechino ha deciso di abbandonare l’approccio diplomatico e di passare alle maniere forti: se la censura di regime non verrà rispettata, Google verrà oscurato in Cina.

La provocazione nei confronti degli States e del suo colosso tecnologico è poi proseguita attraverso le parole di alcuni mediatori: «se gli Stati Uniti non forniranno le prove che gli attacchi denunciati sono stati orditi dal governo di Pechino, la Cina comincerà a progettare un Internet totalmente cinese, che ricalchi i confini nazionali reali».

Google VS Cina: tutta colpa di Microsoft… e dei profitti

Google ha cambiato idea, non andrà via dalla Cina. Ma si opporrà a qualsiasi forma di filtro. Microsoft, dal canto suo, si dice perplessa sull’atteggiamento di “big G” e annuncia che resterà nel paese della Grande Muraglia nonostante le censure. Poi arriva il colpo di scena: gli attacchi hacker che hanno fatto infervorare Google sono stati veicolati da una falla di Internet Explorer. Il gruppo di Redmond conferma, ma il rattoppo è ancora lontano dall’essere rilasciato.

Non c’è che dire. L’affair Google VS Cina sta assumendo sempre più i toni di una telenovela. Capirci qualcosa non è facile, ma noi vogliamo provarci. Se anche voi volete tentare la grande impresa, prendeteci per mano e seguiteci in questa landa tormentata fatta di intrighi internazionali, tecnologia e sudore (quello di Ballmer, si capisce).

Cos’è successo

Photo Credits: Endworld

Partiamo dall’inizio. Cos’è che per oltre una settimana ha fatto gridare Google allo scandalo e ha spinto il colosso di Mountain View a minacciare il suo ritiro dal mercato cinese? Una serie di attacchi hacker che hanno preso di mira gli account Gmail di molti dissidenti e i segreti di oltre 30 aziende statunitensi, tra cui la stessa Google. Malgrado non ci siano ancora conferme in merito, sembra che le intrusioni siano state architettate dal governo cinese.

Google si ribella alla censura cinese. Meglio tardi che mai? [AGGIORNATO]

Google e il regime comunista cinese non sono più amici. Dopo una connivenza durata circa quattro anni, il colosso di Mountain View si è finalmente passato la mano sulla coscienza ed ha deciso di dire “no” alle censure imposte dal governo della RPC.

Da due giorni, foto di eventi come la protesta di piazza Tian’anmen e informazioni come quelle riguardanti le violazioni dei diritti umani in Tibet risultano tranquillamente accessibili tramite Google.cn, versione mandarina del motore di ricerca numero uno al mondo che, come ben noto, finora aveva reso inaccessibili agli utenti tutte quelle informazioni ritenute scomode dalla dittatura cinese.

A cosa si deve quest’improvvisa sensibilità di ‘big G’ nei confronti dei diritti umani? A quanto pare, nei mesi scorsi alcuni hacker hanno cercato di intrufolarsi negli account Gmail di alcuni dissidenti non troppo simpatici al regime. Gli attacchi (non andati a buon fine, pare) sono stati quasi sicuramente ordinati dal governo locale e questo ha mandato su tutte le furie Google, che oltre ad aver abolito le censure di Stato, adesso minaccia pure di abbandonare il florido mercato cinese.

Il governo Cinese blocca IMDb, ancora un’altra censura

Purtroppo, nonostante l’inizio del terzo millennio sia passato ormai da ben dieci anni, la situazione mondiale è cambiata ben poco per quanto riguarda il numero di conflitti e di dittature nel mondo, vere e proprie piaghe dell’umanità che dovrebbe vergognarsi di tollerare ancora nel 2010 simili ingiustizie. Uno degli esempi più lampanti è la Cina, una dittatura che sembra avere tutta l’intenzione di rimanere al potere almeno per i prossimi 50 anni, e che compie giornalmente pesanti atti di censura per indottrinare le nuove generazioni e consolidare il suo potere.

Last.fm e MySpace bloccati in Turchia?

Censura

Ultimamente gli atti di censura da parte dei governi non totalmente aperti verso il web stanno aumentando, sulla scia dei pesanti comportamenti antidemocratici attuati dai cinesi, i quali ogni giorno trovano un nuovo metodo per privare i propri cittadini della libertà di navigazione e d’informazione, adducendo come scusa la “protezione dei ragazzi online“. Ma mentre per quanto riguarda la Cina il blocco è totale, in altri paesi si cerca di bloccare o censurare l’accesso solo ad alcuni siti, censurandone il contenuto per garantire la riservatezza di alcune informazioni scomode al governo. Sicuramente direte: stiamo parlando dell’Italia? Fortunatamente ancora no, anche se non sappiamo per quanto tempo nel nostro paese la libertà d’informazione rimarrà tale. Questa volta, ad essere messa sotto accusa è la Turchia.

Filosofia Geek: bocciata la legge francese per punire gli incalliti downloaders pirati. Sarko incassa…

Venerdì Santo, cari geeks credenti e non. Trasportandoci dal sacro al profano, ciò significa tempo di vacanze e di tempo libero. Chi ci segue da un po’, saprà bene che vacanza, per noi, è sinonimo di filosofia geek. Ben ritrovati, dunque, al consueto appuntamento prefestivo col portatore di tedio (il sottoscritto).

La conversazione di oggi verterà su un fatto recentemente accaduto oltralpe: con grande sorpresa di tutti gli osservatori (inter)nazionali, il Parlamento francese ha deciso di boicottare il Presidente Nicolas Sarkozy, (f)autore di una spietata legge contro le migliaia di utenti praticanti download pirata: sospensione dell’accesso alla Rete, da due a dodici mesi.

Wikipedia atto secondo (ed ultimo)

Siamo al secondo atto di una diatriba che vede sei importanti provider britannici contrapporsi a Wikipedia, accusata, come vi abbiamo raccontato, di diffondere pedopornografia.

Dopo la controversa inclusione di Wikipedia nella black list dei siti britannici, la Internet Watch Foundation è tornata sui suoi passi. Chiamata in causa qualche giorno fa per guidicare la pagina relativa un album dalla copertina discutibile, la commissione ci ripensa, revocando i precedenti provvedimenti di censura.

Wikipedia, bloccata dai provider inglesi

Bufera in atto tra i provider inglesi e l’enciclopedia libera più famosa del mondo. Da qualche giorno infatti molti inglesi non possono più accedere a Wikipedia a causa dell’inclusione del dominio nella Internet Watch Foundation come sito legato alla pedopornografia.

Se state strabuzzando gli occhi vi capiamo bene, la spiegazione di questa profonda censura è da ricercarsi nell’articolo pubblicato su Wikipedia relativo al discusso album Virgin Killer degli Scorpions sulla quale copertina appare nuda una giovane ragazza in età preadolescenziale.

I provider in questione sono Virgin Media, Be Unlimited/O2/Telefonica, EasyNet/UK Online, PlusNet, Demon, e Opal che hanno deciso di censurare la pagina ed includere l’intera enciclopedia indiscriminatamente nella categoria di siti pedopornografici in attesa di una presa di posizione da parte di Wikimedia Foundation.

Coloro che tentassero di accedere all’articolo in questione riceverebbero una pagina di errore 404 ed un commento di spiegazione. I provider si augurano di veder presto cancellata dall’enciclopedia l’immagine incriminata, ora la palla è in mano della Wikimedia Foundation che dovrà decidere se cedere al ricatto o perpetuare nel proprio principio di coerenza.

Discussione: le avventure di siti internet, forum, blog a contatto con opinioni e commenti

Altro argomento di discussione, chiaramente informatico. Nelle settimane scorse vi abbiamo parlato di privacy e di nascita dei blog, quindi, in pratica, abbiamo parlato, seppur indirettamente, della persona seduta davanti ad un monitor e di quello che fa spesso quando utilizza il computer. Oggi è giusto quindi fondere questi due argomenti per trattare un tema particolare: il rapporto tra gli utenti e gli spazi di internet. E per transitività il rapporto tra utenti ed utenti e tra utenti e webmaster o gestori o blogger.

Il tema affrontato oggi, si suppone, è quindi molto sentito da tutti i fruitori della rete. Il web è pieno di siti, di forum, di blog, di nick, d’accordo. Ma dietro ognuna di queste parole, diverse per definizione, si nascondono persone. Persone che si prodigano, che lavorano o spendono il loro tempo libero a contatto con internet.

L’umano è tale per tanti motivi: tralasciando quelli scientifici e parte di quelli filosofici, l’umano è tale per la sua.. umanità. Eh si, che fantasia. Umano – Umanità. Ma se le due parole sono quasi simili un motivo ci dev’essere. Una delle tantissime motivazioni è questa: una persona ha pregi e difetti e li manifesta ovunque. Figuriamoci se non in Internet.

Ma passiamo al dunque: la questione è grossomodo quella legata alla convivenza di persone in uno spazio pubblico come internet. Come è normale che sia, ognuno ha dei propri modi di fare, di agire ed ha anche delle proprie simpatie e antipatie. Giusto. Però che succede se le discordanze tra utenti rischiano di sfociare in più accentuati contrasti?

YouTube dovrebbe censurare Al Quaeda?

AlQuaeda

Il senatore americano Joseph Lieberman ha chiesto ufficialmente ai vertici di YouTube di rimuovere i video contenenti proclami e rivendicazioni di Al Quaeda che gli utenti hanno postato su internet. Ma i responsabili del popolare servizio di video-sharing gli hanno risposto di no, perché il materiale non vìola le linee guida del servizio. Lieberman, allora, non si è arreso e ha intrapreso una vera e propria crociata contro i video del terrore inseriti online, chiedendo che le linee guida di YouTube siano modificate e rinforzate per far sì che la violenza gratuita e gli estremismi siano eliminati una volta per tutte.

Per Lieberman, insomma, ospitare questi proclami video significa amplificare la potenza del terrore di queste organizzazioni (e sappiamo quanto, negli Stati Uniti, si insista molto su questi temi). YouTube, dal canto suo, ha risposto che il dialogo tra istituzioni e azienda è importante, ma ha anche sottolineato come la maggior parte dei video in questione non contengano scene o linguaggi violenti, e quindi non possono essere rimossi perché non vìolano le linee guida della comunità. Rimuoverli, insomma potrebbe creare un grande precedente a cui poi in tanti potrebbero appellarsi.