La home-page di Google è illegale?

GooglePrivacy

Guai giudiziari per Google, accusata di violare le leggi californiane a causa della sua riluttanza ad inserire direttamente nella home page un link alla pagina della politica sulla privacy. “A Google è stato chiesto di inserire la parola privacy, una parola di sole sette lettere, accanto agli altri link che portano alle pagine di informazioni sulla ricerca e sulla società. Una parola piccola che però nel mondo della privacy è molto importante”, ha spiegato Beth Givens della Privacy Rights Clearinghouse.

Tutto è partito da una segnalazione proveniente da alcuni blog del New York Times, secondo cui Google non si sarebbe adeguata all’Online Privacy Protection Act del 2003 (la legge californiana sulla privacy, per intenderci): la legge prevede che ogni sito che abbia dietro un’attività commerciale e raccolga informazioni private degli utenti debba segnalare bene in vista nella propria home page un link alla propria pagina che spiega la politica dell’azienda nei confronti della privacy.

Viacom-YouTube, la causa giudiziaria miliardaria che spaventa il Web

Sta suscitando enormi polemiche la causa miliardaria che Viacom ha intentato contro YouTube “per non essere stata capace di tenere fuori dal popolare sito di video-sharing i materiali protetti da copyright”. Viacom, in particolare, avrebbe identificato sul sito di proprietà di Google almeno 150mila clip non autorizzate. Google, dal canto suo, si difende spiegando che questa causa sta minando uno dei fondamenti di internet, e cioè “minaccia il modo in cui centinaia di milioni di persone ogni giorno si scambiano legittimamente informazioni”.

I legali di Big G, inoltre, hanno assicurato che YouTube si è da subito adeguata ai dettami del Digital Millennium Copyright Act del 1998, e che va molto oltre il suo ruolo, aiutando anche le società detentrici di copyright a identificare e rimuovere i contenuti considerati illegali. Viacom, da parte sua, attacca spiegando invece che è stato fatto “pochissimo” per combattere il fenomeno illegale. In particolare, la Viacom si riferisce ai molti spezzoni di film e programmi televisivi postati sul sito e visti ogni giorno da migliaia di persone. Tra questi, nella causa si parla di South Park, SpongeBob SquarePants, Mtv Unplugged o il documentario “An inconvenient truth” visto più di 1,5 miliardi di volte.

Online tutti i redditi degli italiani: giusto o sbagliato?

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Sta facendo molto discutere la pubblicazione, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, delle dichiarazioni dei redditi dei cittadini italiani, con i server www.agenziaentrate.gov.it letteralmente in tilt dalle prime ore del pomeriggio di ieri a causa del grande interesse che ha suscitato. Un servizio che permetteva, conoscendo il comune di residenza di una persona, di sapere quanto questa persona ha dichiarato al fisco nel 2005.

Dall’Agenzia delle Entrate hanno spiegato che “si tratta di un provvedimento a norma di legge autorizzato dal garante“. Il quale, però, smentisce (“L’iniziativa non è mai stata sottoposta all’attenzione del garante della privacy”) e poi in via precauzionale blocca la diffusione dei dati, in attesa di una decisione definitiva.

Australia: i capi delle aziende potranno spiare la posta dei propri dipendenti. Voi come vi comportate?

Boss

Nella maggior parte dei paesi del mondo, chi lavora per un’azienda (soprattutto se grande) sa che la navigazione Web, le chat e la posta elettronica potrebbero essere monitorate in modo casuale per prevenire la fuga di notizie riservate interne al’azienda e soprattutto per evitare che il dipendente si distragga troppo flirtando con il/la ragazzo/a di turno o scaricando materiale illegale. Nella maggior parte delle aziende, però, questo controllo non è poi così serrato, e le lunghe ore lavorative trascorrono più veloci tra una mail e una chiacchierata.

In Australia, però, non è così: sta, infatti, per essere approvata una normativa per cui i capi delle aziende potranno spiare la comunicazione di un determinato dipendente senza chiedergli il permesso né avvertirlo. La norma fa parte di una più grande normativa per combattere gli attacchi informatici e il terrorismo. Che c’entra questo col terrorismo? C’entra, apparentemente: i “boss”, infatti, devono poter sapere se dietro un normalissimo lavoratore si cela uno spietato kamikaze.

Internet “agevola” il suicidio?

Suicidio

E fu così che internet, accusata da tanti di essere un luogo di perdizione pieno di pedofili e stupratori, ora è anche colpevole di favorire, agevolare e dare consigli sul suicidio. Secondo una ricerca del British Medical Journal, infatti, esaminando i siti che trattano l’argomento, la maggior parte di questi darebbero consigli proprio sull’argomento.

Per compilare la ricerca, i ricercatori hanno analizzato moltissime pagine all’interno delle quali comparivano i termini “suicidio”, “metodi di suicidio”, “metodi di suicidio sicuri”, “modi di commettere il suicidio”, “come suicidarsi”, “come uccidersi”, “metodi semplici di uccisioni”, “suicidio senza sofferenza”, e così via. Poi hanno classificato le pagine in due categorie: quelle che promuovono il suicidio e quelle che invece cercano di evitarlo. Una ricerca svolta proprio perché il modo con cui questo terribile tema è trattato in televisione o sui media influenza moltissimo il comportamento delle persone.

Registrare le telefonate di Skype è reato?

Intercettazioni

Ultimamente si parla spesso di software (noi stessi ne abbiamo recensito alcuni, come l’ottimo Call Graph solo per fare un esempio) o plugin in grado di registrare sotto forma di Mp3 le telefonate effettuate con Skype. Software gratuiti e semplici da scaricare e anche molto utili, visto che ci permettono magari di salvare frasi importanti che contengono informazioni, indirizzi, numeri di telefono che ci siamo dimenticati di appuntare.

Ma adesso che le telefonate via Skype stanno diventando pressoché la normalità, come la mettiamo con la legge e la normativa sulla privacy? Già, perché registrare le conversazioni telefoniche è un reato. Secondo il Codice penale (art. 617 bis) e il Codice di Procedura penale (art. 266) “chiunque installa apparati, strumenti […] al fine di intercettare […] comunicazioni telefoniche […] è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.

Ecco il nuovo strumento di Identificazione Video di Youtube

Anteprima Plugin

Youtube è ormai da tempo il re assoluto del VideoSharing su internet. Sono milioni se non miliardi, le persone iscritte al sito, e che ogni giorno si divertono a caricare su internet, video e video fatti da loro. Il problema però è che molti caricano su internet dei video di cui non possiedono i regolari diritti di Copyright. Caricando questi video su Youtube si và a violare una delle principali regole di Youtube. Di solito youtube, non controlla ogni video, altrimenti ci vorrebbero dei mesi solo per controllare i video caricati in 24H.

Ma nel caso arriva una società o un’azienda, che possiede i regolari diritti del video Youtube è tenuta a cancellare il video da i propri server. Molte volte è capitata questa operazione. Gli utenti però non corrono nessuna azione legale da parte di Youtube, ma è possibile che le società che possiedono i diritti si facciano avanti con un avvocato. In quel caso l’utente che ha caricato il video se la può passare proprio brutta. Dallo scorso ottobre però Youtube ha adottato un nuovo modo per controllare i video con il Copyright prima che l’azienda che ne possiede i diritti si faccia avanti.

eBay cambia la politica sui download digitali

Cambia la politica di eBay nei confronti della vendita di beni digitali. Per beni digitali s’intendono tutti quei beni che possono essere scambiati da computer a computer e che non possiamo effettivamente toccare con mano (ad esempio, una licenza di uso di un software o un file musicale mp3, tanto per intenderci). Invece di scambiarsi questi beni tramite normali aste, da ora in poi bisognerà utilizzare la formula “30-day classified ads” (annunci pubblicitari di trenta giorni) dal costo di 9,95 dollari.

La novità, annunciata nel blog di eBay, è stata decisa per evitare che venditori aumentino artificialmente il proprio feedback vendendo migliaia di identici file musicali per magari pochi centesimi. In questo caso, invece, nella categoria degli annunci non è prevista alcuna sorta di feedback. In effetti, i download digitali non hanno costi di consegna, e una volta prodotti si possono rivendere infinite volte, dando quindi la possibilità al venditore di “fregare” il sistema dei feedback in un modo praticamente legale.

La Comcast, importante provider internet, inverte la rotta e non perseguirà più chi scarica illegalmente. L’inizio di una nuova era?

P2P

Ultimamente in numerose occasioni (qui, qui o qui solo per fare qualche esempio) ci siamo occupati del comportamento dei provider nei confronti degli utenti “pizzicati” nel fare largo uso di programmi peer-to-peer per scaricare illegalmente film, software o musica. Una tendenza che ha visto ultimamente una maggiore attenzione dei fornitori internet nei confronti dei utenti, che in molti casi sono stati sanzionati o si sono visti revocare l’abbonamento alla rete per aver utilizzato software di scaricamento considerati illegali.

La Comcast, importante provider internet che era stato sanzionato per aver impedito a molti suoi clienti di utilizzare programmi di file-sharing, ha annunciato ieri un completo cambio di politica nei confronti di questa problematica, assicurando tutti i propri utenti che da ora in poi tratterà in modo uguale tutti i tipi di traffico internet. L’importante decisione arriva dopo numerose denunce da parte di associazioni di consumatori (ma anche singoli utenti) che si erano visti bloccare la propria connessione per aver utilizzato programmi come eMule o Limewire.

Nell’era dell’eBook… la libreria non è più nostra

Libreria

I colleghi di BoingBoing e di Gizmodo durante gli ultimi giorni hanno discusso della proprietà “fisica” degli eBook, i libri elettronici che se da noi non sono ancora diffusissimi, sicuramente negli ultimi mesi stanno spopolando negli Stati Uniti, grazie anche ad alcuni lettori come Kindle e Sony Reader. In pratica, ci si chiede, perché i grandi negozi online da cui si acquistano questi eBook danno agli utenti le licenze invece di vendere interamente i libri?

In effetti, se ci pensiamo un attimo, i libri “normali” che compriamo in libreria possono essere prestati, rivenduti, regalati… In questo caso, invece, per proteggere la proprietà intellettuale le grandi società editoriali rendono vietata la copia o il prestito a un’altra persona.

Olanda, chiuso il sito sul quale sarebbe stato “proiettato” un film considerato anti-Islam

Fitna

Arriva dagli Stati Uniti e l’Olanda una notizia che sta facendo molto discutere e di cui mi piacerebbe conoscere il vostro parere. Il provider americano Network Solutions ha sospeso un sito, regolarmente registrato dal deputato olandese di estrema destra Geert Wilders, in cui il politico avrebbe voluto pubblicare e rendere disponibile per la visione in streaming o il download il suo film “Fitna” (“La discordia”, in arabo) giudicato anti-islamico.

Fino a ieri il sito riportava la copertina di un Corano su fondo nero con la scritta: “Tra poco: Fitna”. Il film olandese, così come – lo ricorderete sicuramente – le vignette su Maometto pubblicate su alcuni quotidiani danesi, aveva scatenato nelle ultime settimane aspre proteste in tutto il mondo da parte dei fondamentalisti islamici.

Come “adescare” i pedofili? Con falsi link

Pedofili

Qual è il metodo più semplice per acciuffare i pedofili, se non quello di “fregarli” con la loro stessa arma? È quello che sta facendo, con molto successo, in questi ultimi mesi l’Fbi, che sta utilizzando una serie di falsi link inseriti nei siti che ritiene più a rischio. In pratica, chi clicca sul link invece che andare a vedere filmati porno, viene diretto a un sito gestito dall’agenzia americana per la sicurezza, che così entra in possesso dei dati del presunto criminale.

Uno studente universitario, ad esempio, una notte dello scorso anno aveva cliccato su più di uno di questi link, e già la mattina dopo si è trovato a casa gli agenti federali. Ora rischia quattro anni di prigione, ma il metodo – seppur ottimo per acciuffiare i criminali – rischia un po’ di generalizzare: in questo modo anche chi fa click per sbaglio su un link rischia di passare delle brutte giornate.

Pubblicare il proprio lavoro, o metterlo gratuitamente su Wikipedia? Per alcuni scienziati non c’è dubbio: Wikipedia

Fisica

Pubblicare il proprio lavoro su una rivista scientifica o renderlo disponibile, a tutti, su siti come Wikipedia? È il dilemma che si stanno ponendo alcuni scienziati dell’American Physical Society, che da giorni stanno intraprendendo una lotta nei confronti della casa editrice di Physical Review Letters, che non dà loro la possibilità di condividere le proprie ricerche su internet, perché protette da copyright.

Una volta pubblicata la propria ricerca sulla rivista, i diritti andrebbero a finire tutti alla casa editrice, che poi non darebbe il consenso affinché si possano creare delle “opere derivate”. “È irragionevole e completamente folle che in un campo come il nostro – spiega uno degli scienziati – accadano cose del genere. Le nostre scoperte devono essere disponibili alla maggior parte delle persone possibile“.

Condannato a 9 anni di prigione il super-spammatore mondiale

Mailbox

La notizia sta facendo, piano piano, il giro del mondo. La Corte Suprema della Virginia, negli Stati Uniti, a ha condannato a nove anni di carcere Jeremy Jaynes, accusato di aver mandato milioni di messaggi di posta indesiderata ad altrettanti ignari utenti internet. Una sentenza che, sicuramente, entrerà nella storia della Rete.

La vicenda, tra ricorsi e carte bollate, va avanti già dal 2003, anno del primo arresto di Jaynes. L’accusa ha presentato la prova di 53mila messaggi e-mail illegali inviati in soli tre giorni, ma tra luglio e agosto del 2003 pare che l’uomo abbia mandato un milione di messaggi spam al giorno. La difesa, invece, ha basato le sue argomentazioni sul fatto che le leggi anti-spam emanate ultimamente negli Stati Uniti violerebbero i diritti del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, quando si tratta di anonimato.